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Politica a novembre






A me fanno sorridere, dello stesso sorriso che suscitano certi personaggi di Dostoevskij (Trofimovic Verchovenskij, il padre del terrorista Pëtr, per esempio, coi suoi piagnucolii e lamenti) quelle e quelli che, occupandosi di politica, pensano, per esempio, di dover quotidianamente considerare solo questioni molto importanti (la guerra Russia/Ucraina, il genocidio in Palestina, l'immigrazione, la povertà) e cercano di lavorare, "dare risposte", solo a problematiche per me francamente impossibili da risolvere (perché gli elementi mancanti nel disegno mi sembrano troppi, o il periodo preso in considerazione lungo, e molto altro, di cose e questioni, mi pare, potrebbe intervenire a modificare questioni e disegno), e su cui si può solo, ampiamente, discettare, seppure da posizioni più o meno 'scomode'..

Limite mio.

Per me, anche semplicemente una manifestazione ben riuscita di questi tempi va considerata un successo.

Dico che mi fanno sorridere perché sono le stesse, gli stessi che quando, anche trentanni fa, ponevi un problema specifico, con nomi e cognomi, oppure gli parlavi del "territorio A, B e C" e elencavi le singole "complessità" ('diritti' legati all'abitare, ma ormai, quando va bene, si si può parlare solo di 'bisogni'; graduale trasformazione, anzi 'occupazione totale' da parte della 'rendita', 'macro e micro', di tutta la città di Roma, un enorme 'catino' sfruttato da privati, fenomeno che ormai può esser affrontato solo a partire dall''overtourism', con tutto quel che ne consegue, anche dal punto di vista legato al linguaggio, essendo ormai lo 'sfruttamento' della città considerato un fenomeno assolutamente 'naturale' e di cui non si discute, non si deve discutere) ecco, gli stessi, ti rispondevano "Questi non sono problemi teorici..." che è come dire, "Io ho preparazione, tempra, importanza, allure, classe e stile per occuparmi solo di quelli, falla tu la manovalanza...", e anzi, "Smettila di dire nomi e cognomi, di indicare le singole responsabilità, visto che ci siamo...tieniti sul generico!".

La manovalanza, per quel che può importare, io la faccio, l'ho sempre fatta, ma solo perché mi aiuta nella vita quotidiana e mi scioglie le tensioni, la considero il punto d'incontro tra il "fare e il senso del fare" di cui parla Lonzi.

Mi viene da ridere, però, perché a ogni fallimento in più, a ogni percentuale ridotta, a ogni elezione persa, a ogni schiaffone, sono i primi, le prime, questi e queste, a dire: "Dovremmo tornare sul territorio", magari in un italiano diverso, e partendo da altri punti, forse pure negando "il territorio", ma insomma, il senso quello è: "individualizziamo", "diamo corpi e volti".

Prima c'era anche il "contiamoci", ora sostituito da un più, considerato, elegante "Sono problemi di ordine internazionale!".

Poi però il tempo passa, i giorni, i mesi, sul 'territorio' non si torna, e se lo si fa è solo per dare in affitto 'la casa de nonna', e tutto torna come prima, proprio come è in Čechov o in una commedia all'italiana ben fatta.

Quello che, esattamente, mi fa sorridere è l'atteggiamento nevrotico non risolto, pur di rimanere a gestire delle immaginarie "fila del deescorzo", nella incapacità, ormai anziana, e tutt'altro che femminista, di identificare un particolare, di dare un volto, un'individualità, fosse anche un'individualità che non ci piace, e a cui non piacciamo, a problemi, cose, persone, 'territori'.

E tutto rimane avvolto nel comodo, ben praticato, seppure periodicamente rinnegato, 'generico'.


nella foto, Fede Galizia, Ritratto di Paolo Morigia (part), 1592 - 1595



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