
Uscito nel 1909, e in italiano tradotto nel 1940 da Cesare Pavese, questo Tre esistenze (Three lives) di Gertrude Stein, è composto da tre racconti, tre storie in qualche modo esemplari che prendono il titolo, o almeno parte di esso, dal nome delle protagoniste.
A unire le vicende una Bridgepoint inventata e cittadina simbolo, per l’autrice, della provincia americana.
Un libro che potrebbe essere definito, tenendo presente ciò che lega le tre vicende, un breve trattato sul desiderio; non tanto per la capacità di Stein di delineare i condizionamenti che le protagoniste subiscono, questo è probabilmente l’aspetto più scontato, quanto per le originali connessioni che mette in luce tra una mancata consapevolezza del corpo, dei corpi, e l’inevitabile tragedia che sempre ne consegue.
La salvezza sta nel far pace coi propri desideri, se non assecondandoli, quanto meno non demonizzandoli, come a volte le relazioni sociali ci chiedono di fare.
E però, qui sta l’intelligenza dell’autrice, conosciamo davvero quello che vogliamo? In che modo, ciò che ci piace contraddice la morale corrente e come, invece, quello che vogliamo sta esattamente nelle regole condivise?
Da cosa dipende l’aspirazione a essere considerati, considerate? Che cosa ci spinge a cercare il consenso, l'amore, un desiderio che ci corrisponda?
Anna, Melanctha e Lena. Tre diverse attitudini a mediare, fra volontà di essere e leggi sociali, tre diverse capacità, anche, di lettura degli altri, delle altre, del mondo.
C’è Anna. Nata in Germania, si porta appresso le leggi sociali del paese dove è vissuta, quelle secondo le quali è stata educata, le stesse che prevedono di fare il proprio dovere sempre, che consiste nel lavorare, perché lì sta la propria realizzazione, di pensare poco a se stesse e molto agli altri, e, per una donna, di non fidarsi troppo degli uomini.
Talmente non si fida, Anna, che la «sola avventura» cui andrà incontro si chiamerà signora Lehntman, la levatrice, «una donna che le altre donne amavano» per via di «un certo splendore magnetico e dei modi». Fedele alla rigida dottrina morale legata alla comunità cui apparteneva da ragazza, e che l’accompagnerà tutta la vita, Anna si ribella («si licenziò senz’altro») solo una volta, a diciassette anni, quando la padrona «offrì la sua cameriera» a un’amica, per riaccompagnarla. Lei, che si considera invece una serva, si rifiuta e decide di andarsene.
Sarà, per sempre, al servizio della comunità.
C’è poi Melanctha, per la quale il desiderio, e quello sessuale specialmente, è oggetto di continua controversia, con se stessa prima di tutto. E se l’autrice, a proposito di una maggiore consapevolezza di sé, e della propria sensualità, che la ragazza vorrebbe conquistare, ci dice «avrebbe voluto imparare la saggezza», non la pensano così gli uomini e le donne con cui Melanctha ha a che fare.
Più lei si fida degli altri, degli uomini con cui sta, delle amiche, e più loro la usano, se ne servono, equivocano i suoi comportamenti e i suoi gesti, fino ad allontanarla.
Infine c’è Lena, la «buona Lena», anche lei tedesca: la sua ubbidienza e la sua mancanza d’immaginazione sono tali da far coincidere le regole sociali coi suoi desideri. Tutto quello che le viene chiesto di fare diventa, automaticamente, se non quello che lei vuole, certo quello per cui si sente portata.
Comuni a questi racconti sono certe strutture gerarchiche parentali, in cui l’individuo va sempre sacrificato, pena l’interrompersi del meccanismo stesso (vedi, per esempio, la famiglia di Herman Kramer, in cui Lena si arena) e legami, inquadrati a volte fra quelli d’amore, in realtà, basati sulla sopraffazione (la relazione fra Rose e Melanctha), e anche qui, di solito, è la comunità a spingere verso l'inganno. Le donne non sono diverse dagli uomini, in queste storie, per ciò che riguarda pigrizia, superficialità, cattiveria, stupidità, volontà di far del male, o del bene, desiderio di accudire la prole. Niente, nessun desiderio, nessun sentimento nasce, respira, sopravvive, fuori dalla modalità culturale dominante, un vero e proprio gabbiotto rompere il quale è possibile solo a patto di dare inizio alle ostilità, o abbandonare tutto e andare via. E così, se attraverso le vicende di Melanctha possiamo renderci conto di quanto, e come, pesi una famiglia disturbata nello sviluppo di una donna, come la renda fragile, dipendente dai desideri altrui, incapace di svilupparne di propri, attraverso la storia di Anna possiamo invece vedere quanto e come faccia male, il crescere a stretto contatto con una comunità formalmente religiosa ed eccessivamente giudicante nelle pratiche. In Lena i due mali (famiglia disturbata e comunità giudicante) si sommano.
Come è per tutti i bei libri l’attenzione dell’autrice non è rivolta unicamente ai personaggi principali. Ed ecco Lehntman, la levatrice, amica prediletta di Anna, capace di trasformare ogni desiderio che le viene in pratiche immediate: il tipo di donna che prende con sé, per il puro piacere di farlo, il bambino che un’altra donna, la giovane Lily, sua amica e paziente, non può tenere, salvo poi rendersi conto che qualsiasi cosa entri in una casa gestita da una donna, vedova in questo caso (animaletti, figli, amici dei figli, figli adottati) sarà lei, poi, a doversene occupare.
Il tipo di donna, pure, che esce con l’uomo che le piace, anche se lui è impegnato, salvo poi, anche qui, pentirsene.
Altro personaggio indimenticabile, oltre che avanti rispetto ai tempi, è Herman Kreder, che «non pensava molto a sposarsi», il marito di Lena. Più volte l’autrice ci dice che è molto ubbidiente coi genitori, che «gli piaceva stare con uomini e detestava che vi fossero donne» e che non gli andava di vedersele attorno. Talmente non gli piacciono che il giorno prima del matrimonio, e nonostante sia ubbidiente per quel che riguarda le regole sociali, scappa da casa per andarsi a rifugiare dalla sorella. Però Herman, che vuole solo stare con i suoi amici, comincerà a cambiare quando Lena sarà incinta del primo bambino. Non solo perché stabilirà con lei una complicità di quelle che è facile vedere, a volte, fra due esseri che abbiano avuto una stessa difficile esistenza. Cambierà anche perché a lui i bambini piacciono: gli piace educarli, vestirli, dar loro da mangiare. Gli piace far la mamma. E per fortuna, perché quando Lena morirà, i tre bambini troveranno in Herman Kreder un padre «molto contento ora e (che) viveva sempre regolarmente e tranquillamente, e ogni giornata era identica all’altra, sempre solo ora coi suoi tre buoni e cari bambini».
Ultimo punto, la forma in cui queste tre storie sono narrate. È noto come Stein abbia rivoluzionato il linguaggio, e non solo quello del racconto, ma anche dell’autobiografia e del saggio, e come questa rivoluzione non sia solo un fatto formale. Le ripetizioni di lemmi e concetti, i giri lunghi di frase, le inversioni, le sospensioni del parlato, le imitazioni, le assonanze, non sono solo un fatto estetico o ornamentale, ma una precisa modalità, un tentativo, di far aderire quanto più possibile il linguaggio all’essere.
È come se l’autrice nutrisse così tanta fiducia nella lingua, nelle parole, da essere convinta di potere, attraverso di esse, aderire completamente all’esistenza.
O, per dirla altrimenti, con Stein tutto diventa forma letteraria. Eppure è, lei, artista fra le più capaci di rimanere vicina ai sentimenti e al cuore così come, più in generale, alla vita degli esseri umani.
Gertrude Stein
Nata nel 1874, nei dintorni di Pittsburgh, in Pennsylvania, da Daniel Stein, ricco proprietario di una linea tranviaria, e Amelia Keyser, Gertrude è ultima, dopo i fratelli Michael, Simon e Leo, e la sorella, Bertha.
L’ infanzia dei piccoli Stein trascorre fra Vienna e Parigi, ma per studiare torneranno a Oakland, dove la famiglia si trasferirà al ritorno dall’Europa.
Nel 1897, a ventitré anni, Gertrude con il fratello Leo va a vivere a Cambridge, nel Massachusetts, dove si laurea in biologia e filosofia. Allieva di William James, studia anche psicologia e medicina a Baltimora.
Nel 1902, sempre con Leo, si trasferisce a Parigi.
Del 1903 e del 1904, sono due romanzi Come volevasi dimostrare (Things as they are), e Fernhurst, che usciranno postumi.
La passione per le scienze, che caratterizza tutto il lavoro di Stein, è strettamente connessa a quella per le arti figurative e la letteratura.
La casa di Montparnasse dove va a vivere, diventerà uno dei simboli della generazione da lei definita, ironicamente, perduta. Fitzgerald e Hemingway incontreranno Braque e Matisse, Picasso e Apollinaire.
Nel 1907 Stein conosce Alice Toklas: staranno assieme per tutta la vita.
Nel 1909 esce Tre esistenze (Three lives), storie di donne che in comune hanno Bridgepoint, la cittadina, invenzione dall’autrice, dove vivono.
Il 1914 è l’anno delle poesie Teneri bottoni (Tender buttons). La scomposizione linguistica, già annunciata nell’opera precedente, si approfondisce: la parola può essere usata come un ideogramma.
Nel 1922 esce Geografia e drammi (Geography and Plays) una raccolta di racconti, aforismi, brevi testi teatrali.
Nel 1925, Stein pubblica C’era una volta gli americani (The making of americans) un romanzo dove la genealogia, e la storia, delle famiglie Hersland e Dehning, si alternano a riflessioni sullo scrivere.
Il 1933 è l’anno de L’autobiografia di Alice B. Toklas (The Autobiography of Alice B. Toklas), scritta come si sa, da Stein, col punto di vista e la prima persona della sua compagna Alice.
Nel 1934 viene pubblicato Quattro santi in tre atti (Four Saints in Three Acts) libretto d’opera messo in musica da V. Thompson.
Nel 1936 esce Storia geografica dell’America (The Geographical History of America), a dispetto del titolo, più un trattato filosofico che un saggio storico.
L’autobiografia di tutti (Everybody Autobiography) è del 1937.
Il 1938 è l’anno di Picasso, una biografia del celebre artista spagnolo.
Del 1939 è Il mondo è rotondo (The World is Round) una sorta di libro per bambini.
Nel 1940, in piena guerra, esce Paris, France, ancora tra autobiografia e libro di viaggi. Del 1941 è il romanzo Ida e del 1945 Guerre che ho visto (Wars I Have Seen).
Gertrude Stein, che morirà nel 1946 e che ha rivoluzionato letteratura e studi sul linguaggio, ci lascia romanzi, cicli di conferenze, scritti sull’arte, testi teatrali, racconti polizieschi, saggi teorici e conferenze, di cui molti non sono mai stati tradotti in italiano.
Cesare Pavese
È stato scrittore, redattore, editore, traduttore e sceneggiatore.
Nato nel settembre, del 1908, a Santo Stefano Belbo (Cuneo), il paese di origine del padre Eugenio, e il posto dove la famiglia trascorre le vacanze estive, è l’ultimo di cinque figli, ma a sopravvivere all’infanzia saranno solo lui e la sorella maggiore, Maria, nata nel 1902.
La madre, Consolina Mesturini, viene da una ricca famiglia di commercianti della provincia di Alessandria. Il padre, cancelliere al Tribunale di Torino, muore nel 1914.
Pavese compie gli studi medi e universitari a Torino.
Al liceo Massimo D’Azeglio ha come professore Augusto Monti, antifascista, amico di Gramsci e Gobetti, e incontra Leone Ginzburg, Mario Sturani e Tullio Pinelli.
Appassionato di letteratura angloamericana, nel 1927 si iscrive alla facoltà di Lettere dove conosce, fra gli altri, Giulio Einaudi, Norberto Bobbio, Massimo Mila. Si appassiona a Benedetto Croce.
Nel 1930 la madre muore e lui va a vivere con la sorella, che intanto si è sposata e ha due figlie.
Nel 1931 lavora per Bemporad, come traduttore. Collabora, come critico, alla rivista "La Cultura", che qualche anno dopo dirigerà.
Nel 1932 si laurea con una tesi su Walt Whitman. Si mette a fare supplenze e a dare lezioni private.
Nel 1933, per poter insegnare nella scuola pubblica, su insistenza della sorella, racconta nel diario, si iscrive al partito fascista. Conosce Battistina Pizzardo, una giovane matematica, attivista comunista, con cui ha una relazione.
Nel 1933 nasce la Einaudi. Pavese ha, da poco iniziato la collaborazione con la casa editrice, quando, nel 1934, Leone Ginzburg viene arrestato.
L’anno dopo, con l’accusa di antifascismo, verrà preso e portato, anche lui, alle Nuove, il carcere di Torino. Poi a Regina Coeli, a Roma, e da lì al confino in Calabria, per tre anni.
Ma già nel 1936, per via di una richiesta di grazia fatta, racconta ancora, su insistenza della sorella, è di nuovo nel capoluogo piemontese.
Carocci gli pubblica le poesie di Lavorare stanca.
Dal 1938 è impiegato stabilmente con l’Einaudi.
Conosce Giaime Pintor, Natalia Ginzburg, Carlo Muscetta, Mario Alicata, Elio Vittorini.
Ha una relazione con Fernanda Pivano, sua ex allieva, che ha conosciuto al liceo D’Azeglio.
Il 1941 è l’anno di Paesi tuoi, accolto favorevolmente dalla critica.
Nel 1943 la casa editrice Einaudi lo invia a Roma per lavoro.
Dopo l’8 settembre si rifugia nel Monferrato, per tornare a Torino nel ’45, a Liberazione avvenuta.
La situazione generale, emotiva, è grave: molti dei suoi amici (Ginzburg, Pintor) sono stati ammazzati, il paese è devastato.
Pavese si iscrive al Partito Comunista e inizia a collaborare a "L’Unità". Conosce Davide Lajolo, Italo Calvino.
In quello stesso periodo, sempre per la Einaudi, torna a Roma, dove rimarrà per un anno. Incontra Bianca Garufi (con cui scriverà Fuoco grande, pubblicato postumo nel 1959).
Nel 1947, di nuovo a Torino, pubblica i Dialoghi con Leucò, e inaugura la collana de I coralli.
Dà vita, con Ernesto De Martino, alla Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici (detta La Viola).
Nel 1948 esce Prima che il gallo canti (composto da Il carcere e La casa in collina).
Il 1949 è l’anno della trilogia La bella estate e anche quello in cui avrà una relazione con l’attrice Constance Dowling.
Nel 1950 pubblica La luna e falò, e vince il Premio Strega per La bella estate. Ma è stanco e provato. Scrive un articolo, sul mito, nella rivista “Cultura e realtà”, che suscita critiche e incomprensione.
Nell’agosto dello stesso anno pone fine alla sua vita in una camera d’albergo di Torino.
Usciranno postumi il diario, epistolari, poesie inedite, racconti. Appassionato di cinema sin da ragazzo, ha scritto soggetti e recensioni. Dal romanzo Tra donne sole, Michelangelo Antonioni ha tratto, nel 1955, il film Le amiche.
Libri utili
(a cura di) B. M. Tedeschini Lalli, L’esperimento dello scrivere, Napoli, 1976
M. Alicata, Scritti letterari, Milano, 1968
J. Brockman, Einstein, Gertrude Stein, Wittgenstein & Frankstein: la reinvenzione dell’universo, Milano, 1988
A. Cagidemetrio, B. Lanati, B. Tarozzi, La signora plusvalore: Gertrude Stein, Bologna, 1979
C. Caramello, Henry James, Gertrude Stein and the biographical act, Chapel Hill, 1996
N. Fusini, Undici scritture al femminile, Roma, 2012
E. Gutkowski, I primi passi di Gertrude Stein. Three lives: uno studio di letteratura comparata, Milano, 2004
B. Lanati, L’avanguardia americana. Tre esperimenti, Faulkner, Stein, W.C. Williams, To, 1977
G. Livi, Le lettere del mio nome, Roma, 2014
J. R. Mellow, Cerchio magico, Milano, 1978