Uscito nel 1911 assieme al racconto Tentazione della silenziosa Veronika, col titolo Legàmi, questo Perfezionamento dell’amore si apre con una conversazione.
Una donna, Claudine, chiede al marito di accompagnarla in visita alla figlia, in collegio. La ragazzina, Lilli, è nata dalla relazione di Claudine con un dentista americano, durante un periodo di vacanza, mentre lei aspettava un amante, un altro, «un amico che differiva il suo arrivo oltre ogni limite della sopportazione».
Il marito le risponde di no, non potrà accompagnarla, impegni di lavoro lo trattengono: l’attenzione dei due si sposta allora su G., personaggio di cronaca, un uomo che «...corrompe bambini, istiga giovani donne a perdersi, e poi sta lì e sorride e si gode affascinato quel po' di erotismo che lo attraversa come un riflesso rallentato...».
L’autore non ci dà particolari, ma chi legge ha capito bene di che cosa si sta parlando. Per il resto, Claudine e il marito non hanno, nei confronti di questo G., per certi aspetti uno dei protagonisti, seppure assente, della narrazione, che giuste parole di biasimo, o di curiosità. E però chi legge, ancora, lo vede: i due non si dicono tutto. Soprattutto, non si dicono, quanto per il loro legame sia fondamentale la presenza, e l’esistenza, di questo personaggio («Questi due che ora di nuovo se ne stavano in silenzio pensavano, assieme, a quel terzo sconosciuto...»).
È Claudine ad avere maggiori consapevolezze, ma anche più reticenze: «"Per me", disse la donna e si avvertì che non parlava di quell'uomo in particolare, ma di qualcosa di preciso che intravedeva dietro di lui "secondo me lui crede di comportarsi bene"».
Il marito taglia corto: «"Forse non è possibile capire fino in fondo sentimenti di questo tipo"».
Che il tema di questo scritto sia la nostra incapacità di darci completamente all’immaginazione, impauriti, impaurite, come siamo dalle sue enormi potenzialità, e dalle vertigini che ci spalanca, e scegliamo invece la strada, molto più facile, del giudizio morale, non è qualcosa che l’autore dica in modo esplicito.
Musil è uno scrittore: svolge il suo gioco attraverso i personaggi, ed è attraverso di loro che si esprime. Per sua esplicita ammissione, non gli interessa la psicologia.
Dopo di che, questa novella ha come soggetto l’esperienza, pesante, di una donna che ha subito violenza da ragazza e che da quella violenza non riesce a uscire del tutto, e la subisce: e forse non ne uscirà mai, o forse sì. Certo è che ne è immersa fino al punto da pensare che chi ha dato alla sua vita un equilibrio (il marito) sia alla fine sacrificabile a chiunque le riproponga il vecchio schema, uno schema in cui, chi le sta di fianco, le ripeta il già detto («Ma lui disse: “Oh, taci"»).
Stai zitta.
Perché succede? Perché questa donna, che pure ama il marito, che non vive il matrimonio come un legame oppressivo, tutt’altro, riesce a concepirsi in relazione a lui solo a patto di sentirlo, «...lontano, udì il cuore distante del suo amato vagare dolcemente, instabile, irrequieto, senza casa...»?
Ciò che c’è di estremamente moderno, per quel che riguarda il contenuto, in questa storia, riguarda in primo luogo la sessualità: non ci può essere amore, non c’è legame sentimentale che non si esprima attraverso l’erotismo, il sesso, l’elemento «...per il quale non v'erano parole nel linguaggio del giorno e nel modo eretto di camminare, tipico degli esseri umani».
Una modalità, il sesso, esattamente come il sogno e i ricordi, connessa alla parte meno consapevole di noi, legata al buio, alla notte e, più di tutto, legata all’immaginazione.
E se l’amore vissuto da bambini, bambine o più oltre, da ragazzi, ragazze, ha avuto l’espressione della violenza, della sopraffazione, dell’umiliazione, nulla di strano che quello stesso sentimento, l’amore, da adulti ritorni e si manifesti sotto forma di estremistico dolore.
Non solo: il sentimento, «purissimo» per chi lo ha vissuto, molto difficilmente viaggerà attraverso un’ordinata consapevolezza verbale, e sceglierà piuttosto, per venir fuori, in modo molto più radicale e squisitamente autosufficiente, il corpo.
Subire violenza o farla.
Claudine che, abbiamo detto, non può fare a meno di subire la prevaricazione, a sua volta ama il marito, più che altro, proprio «...quando pensava di dargli l'estrema offesa mortale».
Il vero interesse di questa novella non sta però, o comunque non solo, in questi meccanismi, in qualche modo già affrontati da altri autori e autrici, da altre discipline, e non solo nello stesso periodo, quanto nella capacità dello scrittore austriaco di mostrarci la contraddizione del linguaggio.
La vita, l’esperienza, il vissuto sono molto più ampi, più vasti di quanto la comunicazione verbale non preveda: «Questa vita ora azzurra ora scura, con una piccola macchia gialla (il cielo, il sole, ndr)... cosa significa? La voce che chiama le galline, il ticchettio leggero dei chicchi per terra attraversato improvvisamente da qualcosa che è come lo scoccare di un'ora... a chi parla?».
Se lo chiede Claudine: in quella vastità, come situarsi fra le cose?
E se è la convenzione comunicativa che dà voce ad esse, e agli oggetti, perché invece a lei, spesso:
«... si presentano in una doppia forma: nette, chiare, come le conosciamo, ma anche pallide, spaventate, fragili, come se in segreto, e già distanti, l'altro le contemplasse»?
Da cosa dipende quel doppio aspetto della realtà e in che modo è legato all’espressione? Perché ci sono volte in cui Claudine precipita?
«...pareva come se a un tratto le cose mute, obbedienti, si fossero stranamente allontanate. Se ne stavano alte, dritte nella penombra, come personaggi avventurosi, come stranieri, come esseri irreali presi dal loro svanire, consapevoli di avere in sé qualcosa d'incomprensibile che non riceveva risposta».
È davvero quell’incomprensibilità, a causarle tutta quella sofferenza? Non è piuttosto l’ordine che la realtà sembra imporle? Da cosa dipende l’ansia di nominare, e che relazione la donna ha con le cose?
«...attorno a lei le facevano provare vergogna, così dure e ferme e di nuovo uguali a se stesse, fissavano il vuoto».
Le cose, che non rappresentano null’altro che se stesse, e contemporaneamente simili, come sono, a personaggi avventurosi.
Le cose, esse stesse oggetto della contraddizione, specchio di Claudine. Il perfezionamento dell’amore non è altro che un’istantanea: l’incontro, infinito e particolare, tra il piacere provato con l’altro e l’immaginazione ferma sull’ amato lontano.
«E lontano lontano, come quando i bambini dicono di Dio: “Egli è grande…”, raggiunse il suo amore».
La contraddizione di Claudine come contraddizione del linguaggio, quindi. Per rappresentare la quale Musil sceglie una sintassi, una lingua, estremamente aderente al ritmo del pensiero, complesso e articolato come è. E accanto alle domande esplicite ne pone altre, o meglio ne raccoglie altre, continuamente, in un gioco di cerchi e di specchi, di cavalieri e astri che presuppone l’essere implicito della riflessione letteraria.
La storia di Claudine, costretta da una visita alla figlia Lilli, che è in collegio, a partire, a lasciare la sua casa, il marito, le sue consuete attività e a ripiombare nel passato, diventa una storia esemplare, d’avventura.
Cosa succede quando veniamo meno all’abitudine?
Quali sono i presupposti di un legame intenso quale quello amoroso? È possibile, in poche ore, ritornare a ciò che si è stati? Guariscono mai davvero determinate ferite, certe esperienze? Che parte gioca la paura nel rendere difficile, a volte addirittura impossibile, il cambiamento?
È davvero il linguaggio verbale quello con cui, più facilmente, l’essere umano comunica? E che parte ha il giudizio morale, la volontà, nell’esperienza?
Non c’è altra strada, sembra dirci Musil, per Claudine, che frenare ogni tentativo di affermazione personale, di giudizio morale, e lasciar posto invece all’immaginazione, senza aver paura di quello che prepara, impone, compresa la figura di quel «G. pallido, debole», il mostro.
«Si lasciò andare e non sentì nulla per molto tempo, come in uno stato di stordimento, sapeva solo che era seduta su una sedia nuda davanti a un tavolo nudo. E poi le venne in mente quel G. del romanzo, e la conversazione prima del viaggio, allusioni e parole mai dette».
Perché dalla sofferenza, ammesso che si possa, e l’autore a tratti sembra crederci, interessato come è stato per tutto un periodo della sua esistenza alla teoria della Gestalt, si riuscirà a uscire solo attraverso la curiosità per le umane vicende, la consapevolezza del loro essere infinite eppure, in qualche strano modo matematico, sempre le stesse. Immergersi nell’incoerenza, accettare la provvisorietà, l’impossibilità del significato, impedirsi il giudizio morale. Quanto maggiore, cruda, enorme, la sofferenza, tanto minori i modelli, le possibilità, i parametri, che come esseri umani abbiamo a disposizione.
Robert Musil
Figlio di Alfred, originario di Timișoara, oggi Romania, e di Hermine Bergauer, di Linz, in Austria, Robert Musil nasce nel 1880 a Klagenfurt, in Carinzia.
Ha una sorella maggiore, Elsa, che muore appena nata.
Nel 1882 la famiglia si trasferisce a Chomutov, in Boemia: il padre, ingegnere, ha accettato di dirigere la Mechanische Lehrwerkstätte, una scuola di formazione professionale.
L’anno dopo, altro cambio: Alfred Musil è nominato direttore a Steyr.
Alfred ed Hermine non vanno d’accordo: tanto lui tiene al rispetto delle convenzioni, quanto lei fa il possibile per contrastare l’ordine corrente. Per un periodo in casa vivranno in quattro: padre, madre, figlio e amante della madre.
A Steyr, Robert frequenta asilo e scuola elementare. È di questo periodo una malattia nervosa, di origine cerebrale, che lo costringe ad assentarsi da scuola e a prendere lezioni private.
Nel 1891, di nuovo, i Musil si trasferiscono: a Brünn, questa volta.
Il padre ha ottenuto la cattedra di meccanica al Politecnico.
Nel 1893 Robert, che frequenta l’istituto tecnico scientifico, per contrasti coi genitori, accetta di iscriversi alla scuola militare di Eisenstadt, e, dal 1894, a quella per giovani ufficiali Mährish-Weisskirchen («il buco del culo del diavolo», lo definirà), ad Hranice, oggi Repubblica Ceca.
Nel 1897 se ne va a Vienna, all’Accademia militare, che lascia però tre mesi dopo per tornare a Brünn, dai suoi.
Si iscrive al Politecnico.
Studia: Nietzsche, soprattutto. E la Poetica di Aristotele, e Dostoevskij. Ma legge e apprende anche da D’Annunzio, Wilde, Poe, Baudelaire, Emerson, Maeterlinck, Altenberg come si vede leggendo ciò che scrive.
Tiene un diario: «la forma di scrittura più comoda, più indisciplinata», scrive.
Del 1898 è il testo Monsieur le vivisecteur, abbozzo da cui secondo una parte della critica verrà fuori L'uomo senza qualità.
Nel 1901 si laurea in ingegneria meccanica. Raccoglie in volume le prose liriche di Parafrasi.
Volontario in fanteria, sempre a Brünn, conosce la giovane Herma Diatz, con cui avrà una relazione che si concluderà tragicamente.
Fondamentale, nella vita di Musil, è la presenza degli amici. Gustav Donath è uno di loro: entrambi appassionati di letteratura, organizzano conferenze e pubbliche letture.
Continua a studiare: Kant, Rilke, Von Hofmannsthal, Franz Schamann, George.
Dal 1902 è a Stoccarda, dove lavora come assistente volontario al Politecnico, col professor von Bach. Considera il lavoro che fa «piatto e ripetitivo».
Nel 1903 si iscrive a Berlino, all’università di filosofia, dopo aver preso la licenza liceale: studia psicologia sperimentale e logica.
Nel 1904 pubblica sulla rivista “Natur und Kultur”, degli articoli di genere scientifico.
Nel 1906 esce il suo primo romanzo I turbamenti del giovane Torless (Die Verwirrungen des Zöglings Törleß) ispirato agli anni trascorsi in collegio militare e scritto durante l’anno di assistentato a Stoccarda.
Conosce Martha Marcovaldi, pittrice, sette anni più grande, due matrimoni alle spalle, due figli, sua futura moglie.
Nel 1908 si laurea con una tesi su Ernst Mach, il filosofo del dualismo e dell’«insalvabilità dell’io», e che avrà una parte fondamentale nel pensiero di Musil. Ottiene un dottorato in filosofia, ma i contrasti con il relatore Stumpf sono troppo forti, e rendono impossibile la prosecuzione della carriera accademica a Berlino.
Pubblica sulla rivista “Hyperion”, diretta da Franz Blei, il racconto La casa incantata, che uscirà nel 1911 come Tentazione della silenziosa Veronica.
Nel 1909 Alexius Meinong lo invita all’università di Graz, offrendogli la possibilità di proseguire la carriera accademica, ma Musil declina l’offerta: ha deciso di fare lo scrittore.
Nel 1910 viaggia con Martha in Italia, visitano anche Roma, dove torneranno qualche anno più tardi.
Nel 1911 esce sulla rivista “Pan” (Alfred Kerr è il caporedattore), il suo saggio L’indecente e il malato nell’arte. Lavora a Vienna nella biblioteca del Politecnico.
Nello stesso anno lui e Martha Marcovaldi si sposano.
Esce Legàmi (Vereinigungen).
Nel 1912 torna a vivere a Berlino. Pubblica articoli su riviste e quotidiani.
Nel 1913 lavora come redattore alla rivista “Die Neue Rundschau”.
È di questo periodo il saggio L’uomo matematico uscito sulla rivista “Der Lose Vogel”.
Scrive su Kafka, Martin Walser, e su Rainer Maria Rilke.
Nel 1914, lascia definitivamente il lavoro di bibliotecario a Vienna.
Allo scoppio della guerra, viene inviato in Sud Tirolo, sul fronte italiano.
Decorato, nel 1916 si ammala e viene trasferito in ospedale, prima a Brunico, poi a Innsbruck e a Praga, dove incontra Kafka.
Le crisi nervose di cui soffre sono tornate.
Lavora a Bolzano come redattore del giornale “Soldaten-Zeitung”. Martha lo raggiunge.
Spedito sull’Isonzo come capitano, nel 1917, ci resterà fino a novembre, quando farà ritorno a Vienna.
Nel 1918 lavora all’ufficio stampa del ministero della guerra, con Franz Blei e Franz Werfel.
Incontra Lou Andreas Salomé, collabora a un giornale pacifista, “Der Friede”.
Nel 1919 passa all’archivio del servizio stampa del Ministero degli Affari esteri.
Incaricato, nel 1920, come consigliere dal Ministero delle Forze armate (l’ultimo suo lavoro stabile), di reintegrare alla vita civile gli ufficiali, fa studi di psicologia e continua a lavorare a L’uomo senza qualità.
Nel 1921 esce I Fanatici (Die Schwärmer).
Nello stesso anno su “Der Neue Merkur” esce la novella Grigia.
Nel 1922 il suo racconto Tonka è pubblicato sulla rivista “Der Neue Roman”.
Nello stesso anno esce il saggio sulla crisi dell’Europa dopo la prima guerra mondiale, Europa allo sbando.
Del 1923 è la farsa Vinzenz e l’amica degli uomini importanti, rappresentata l’anno dopo.
Licenziato dal Ministero delle Forze armate, e senza più stipendio, viene nominato vicepresidente (presidente è Hugo von Hofmannsthal) di un’associazione socialista di cui, da qualche tempo, fa parte, la Schutzverband deutscher Schriftsteller, incarico che manterrà fino al 1928.
L’associazione verrà sciolta dai nazisti nel 1935.
A gennaio del 1924 muore sua madre, in febbraio esce la raccolta di racconti, già usciti in rivista, Tre donne (Drei Frauen), a ottobre morirà il padre.
Nel 1925 pubblica sulla rivista “Der Neue Merkur” il saggio sul cinema: Elementi per una nuova estetica. Appunti su una drammaturgia cinematografica.
Tra il 1928 e il 1929 un’intossicazione da fumo e nuovi attacchi depressivi lo costringono, con mille dubbi e un atteggiamento fondamentalmente polemico, a iniziare un percorso di analisi.
Nel 1930 escono le prime due parti de L’uomo senza qualità (Der Mann ohne Eigenschaften).
Nel 1931, sempre con Martha, si trasferisce a Berlino dove lavora come critico di teatro, ma quello che guadagna è insufficiente.
Per aiutare finanziariamente la coppia, gli amici creano un’associazione, la “Musil- Gesellschaft”, ed è grazie a collaborazioni come questa che lo scrittore e la moglie riusciranno a sopravvivere fino alla fine.
Nel 1933 esce la terza parte de L’uomo senza qualità.
Dopo l’avvento al potere di Hitler, Musil e la moglie, da Berlino tornano a Vienna, passando per la Cecoslovacchia, .
Nel 1935 lo scrittore prende parte, a Parigi, a un congresso degli scrittori antifascisti.
Escono le Pagine postume pubblicate in vita.
Del 1937 è la conferenza Sulla stupidità tenuta alla Deutscher Werkbund.
Nel marzo del 1938, dopo l’annessione, Musil e la moglie Martha emigrano in Svizzera, prima a Zurigo, poi a Ginevra, passando per l’Italia.
Nel 1939 tutte le opere dell'autore austriaco sono messe al bando, sia in Austria che in Germania. Musil e la moglie vivono di sussidi e abitano alla pensione Fortuna di Zurigo.
Il 15 aprile 1942 per un ictus, a Ginevra, lo scrittore morirà: le sue ceneri sparse al vento secondo il suo desiderio.
Quel che resta del L’uomo senza qualità uscirà, nel 1943, grazie a Martha, scomparsa a Roma nel 1949.
Lui, dimenticato, verrà riscoperto alla fine degli anni ‘40, grazie a Eithne Wilkins, germanista di Oxford, e al viennese Ernst Kaiser, compagno di Musil nell'esilio ginevrino.
M T
M T, nata a Brescia nel 1989, vive a Berlino.
Laureata in Lingue e letterature straniere alla Statale di Milano, si occupa di traduzione nell’ambito della pedagogia e della psicologia sperimentale.
È appassionata di classici tedeschi e di letteratura per ragazze di tutte le lingue. Ha tradotto La metamorfosi di Kafka, i racconti di Proust, quelli di Musil e, senza avere intenzione di pubblicarla, l’amata Ingeborg Bachmann.
Libri utili:
R. Barilli, La narrativa europea in età contemporanea: Cechov, Joyce, Proust, Woolf, Musil, Milano, 2014
L. Bazzicalupo, Il sismografo e il funambolo: modelli di conoscenza e idea del politico in Thomas Mann e Robert Musil, Napoli, 1982
P.L. Berger, Robert Musil e il salvataggio del sé: saggio sull’identità moderna, Soveria Mannelli, 1992
F. Cambi, Il doppio volto della metafora tra realtà e utopia in R. Musil e I. Bachmann, Pisa, 1984
R. Cantoni, Robert Musil e la crisi dell’uomo europeo, Milano, 1972
B. Cetti Marinoni, Come si fa con un saggio: Robert Musil e la genesi degli "Schwärmer", Milano, 1988
S. Checconi, Musil, Firenze, 1969
P. Chardin, Musil e la letteratura europea, Torino, 2002
P. Chiarini (a cura di), Musil, nostro contemporaneo, Roma, 1986
K. Corino, Robert Musil: eine Biographie, Amburgo, 2003
E. De Angelis, Arte e ideologia grande borghese: Mann, Musil, Kafka, Brecht, Torino, 1971
E. De Angelis, Robert Musil: biografia e profilo critico, Torino, 1982
G. Dolei, Invito alla lettura di Robert Musil, Milano, 1985
W. Fanta (a cura di) , R. Musil, Il redentore, Venezia, 2013
E. Fischer, Karl Kraus, Robert Musil, Franz Kafka, Firenze, 1974
T. Floreancing, L’incesto nel moderno: una prospettiva d’analisi su Bronnen, Pirandello, Musil e Nin, Pasian di Prato, 2004
M. Foschi, Sulla teoria della metafora in Robert Musil, Pisa, 1984
A. Gargani, Freud, Wittgenstein, Musil, Brescia, 1982
M. Graziano, Oltre il romanzo: racconti e pensiero in Musil e Svevo, Roma, 2013
H. Hickman, Robert Musil e la cultura viennese, Roma, 1984
L. Mannarini (a cura di), Musil: anni senza sintesi, Cosenza, 1980
L. Mannarini, Il primato della teoria: sui saggi di Robert Musil, Brescia, 1984
C. Monti, Musil: la metafora della scienza, Napoli, 1983
S. Mulot, Der junge Musil. Seine Beziehung zu Literatur und Kunst der Jahrhundertwende, Stuttgart, 1977
F. Papi, Il pensiero ironico e il regno dell’amore: traversata filosofica nell’opera di Robert Musil, Milano, 2016
W. Pedullà, Le caramelle di Musil, Milano, 1993
A. Rendi, Robert Musil, Milano, 1963
L. Reitani, (introduzione a), R. Musil, Il redentore, Venezia, 2013
M. L. Roth, Robert Musil, biographie et écriture, Paris, 1980
A. Tatossian, Edipo in Kakania: Kafka, Musil e Freud, Torino, 2002
A. Venturelli, Progetto Musil, Roma, 1980
A. Venturelli, Musil: frammenti di un’altra vita, Padova, 1998