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L’innocente (1892) di G. D’Annunzio è un romanzo importante e incredibilmente attuale non solo perché ci restituisce in un italiano lirico, bellissimo, un modo di pensare, genericamente, le relazioni alla fine del secolo XIX, ma anche perché analizza, attraverso passaggi brevi e comprensibili, che cosa passa nella testa di un uomo convinto di amare una donna che, a volte, vorrebbe morta.

Un episodio di mancato femminicidio: ecco come si potrebbe riassumere, in poche parole, il soggetto. Tullio Hermil, un ricco proprietario terriero, sposato e con due figlie, aspira a qualcosa in più, e soprattutto in materia sessuale, di quel che il matrimonio non gli riservi.

Le sue attenzioni sono, e comprensibilmente dal suo punto di vista, per chi lo mette in grado di provare esperienze inedite.

Per giunta la moglie Giuliana è a conoscenza dei suoi bisogni e desideri: c'è, fra loro, una sorta di accordo: «Ella doveva essere la mia sorella, la mia migliore amica», ci racconta Tullio.

Tutto funziona, fino a quando l’uomo non si rende conto che anche Giuliana, credendosi (e sbagliando) davvero la sua «migliore amica», ha dedicato la sua attenzione a un altro, uno scrittore, e che di questo altro è rimasta incinta. 

Tullio Hermil uccide il bambino che Giuliana ha concepito con Filippo Arborio, non solo per cancellare quello che c'è stato, ma ne programma l'omicidio e pretende la complicità di lei, per verificare quanto ne sia ancora innamorata.  

Il motivo per cui Tullio non uccide (anche) Giuliana è espresso in modo chiaro: il corpo di lei, dopo il tradimento, ha ripreso a emozionarlo.  

Una notazione su contesto e classe sociale: quando Tullio prova a confessare il suo delitto («Sapete voi chi ha ucciso quest'innocente?» chiede, al fratello e al padrino) non viene creduto. Le sue parole vengono scambiate per il vaniloquio di un padre che ha perso il figlio. Nessuna presa di coscienza, nessun cambiamento è possibile, quando siamo inchiodati ai nostri ruoli. Tullio Hermil è, per tutti, fuorché per Giuliana, un uomo affermato, un padre affettuoso, un marito forse un po’ distratto, ma nulla che oltrepassi gli usi dell’epoca. Lo stesso vale per Giuliana. Nessun sospetto sul suo ruolo e la sua venerazione per il marito. Nessun dubbio sulla sua sessualità da sottomessa: lei è, per tutti, la donna mite che ha sempre sopportato. E se il personaggio Hermil prova per la moglie sentimenti contrastanti, Gabriele D’Annunzio, l’autore, chiude il romanzo senza dirci nulla delle reazioni di una madre alla morte di un innocente: quasi una punizione.

Fonti dell’ispirazione per l’autore possono essere stati i classici russi: Dostoevskij (La mite è del 1876), Tolstoj (citato esplicitamente attraverso la figura di Lisa Bolkonskaja, morta di parto in Guerra e Pace, ma non solo), probabilmente, alcuni lavori di Freud sugli stati della coscienza e la memoria involontaria (“Dopo, che avvenne? Non so bene, non ricordo bene. Ricordo che per qualche tempo ebbi di ciò che avveniva una conscienza quasi direi intermittente, come per una successione di brevi eclissi”) Nietzsche dell’Ecce Homo, uscito nel 1888.

Al centro delle descrizioni, spessissimo, i corpi. Non solo quello femminile: pensiamo all'attenzione con cui il protagonista si sofferma sulle mani di Giovanni di Scòrdio, il contadino, padrino dell'innocente; o sugli atleti, durante le gare di scherma, e negli spogliatoi. I corpi umani, per quel che di piacere o di dolore possono dare. E forse in questo, oltre che nel soggetto, di grande attualità, sta l’importanza di questo romanzo. Del 1976 il film, omonimo, di Luchino Visconti con Laura Antonelli e Giancarlo Giannini nella parte dei protagonisti.         

Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 - Gardone Riviera 1938), è stato fra i più rappresentativi scrittori italiani otto-novecenteschi. 

Sperimentatore nel campo del linguaggio e della comunicazione, non ha solo scritto volumi di poesie, di cui alcune rimaste famose (Alcyone, La pioggia nel pineto, La sera fiesolana), progettato serie di romanzi (Il Piacere, Giovanni Episcopo, Il Fuoco fra quelli realizzati), prosa lirica (Notturno, fra le sue cose migliori), tragedie (Francesca da Rimini, La città morta, La figlia di Iorio),  canzoni (A' vucchella è, probabilmente, la più famosa), ma ha lavorato nel cinema (sue le didascalie di Cabiria di Pastrone), nella pubblicità (suo il nome del grande magazzino, La Rinascente), come giornalista, e si è anche occupato di politica. 

Ha raccolto in 48 volumi la sua produzione. Più citato che letto, era esperto d'arte e d'architettura. Forse uno degli autori la cui notorietà ha nociuto, e continua a nuocere, al riconoscimento artistico. 

Libri utili:

 

A. Andreoli, D'Annunzio, Bologna, 2004

A.Arbasino, Certi romanzi, Torino, 1977

G. Barberi Squarotti, Invito alla lettura di D'Annunzio, Milano 1982

G.A. Borgese, Gabriele D'Annunzio, Milano, 1983

P. Chiara, Vita di Gabriele D'Annunzio, Milano, 1988

N. Lorenzini, D'Annunzio, Palermo, 1993

F. Nicolosi, La narrativa italiana tra otto e novecento. Verga D’Annunzio Pirandello, Chieti, 1991

G. Oliva, D'Annunzio e la poetica dell'invenzione, Milano, 1992 

P. Pancrazi, Studi sul D'Annunzio, Torino, 1939.

E. Paratore, Studi dannunziani, Napoli 1966

M.Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze,1930, (Sulmona,1995)

E. Raimondi, Una vita come opera d'arte (1969), in Il silenzio della Gorgone, Bologna, 1980

M. Sambugar e G. Sala', Moduli e percorsi di letteratura italiana ed europea, 2 - Il Novecento, Firenze, 2001

 

G. Tellini, Il romanzo italiano dell'Ottocento e Novecento, Milano, 2000 

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