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Uscito in raccolta nel 1948, assieme a Il carcere,  un altro romanzo breve, e col titolo Prima che il gallo canti, per la casa editrice Einaudi, questo La casa in collina, di Cesare Pavese, è il racconto di un professore torinese quarantenne che, a qualche mese dalla drammatica estate del 1943, e ormai al sicuro, nella vecchia casa di famiglia, dai suoi, decide di indagare, fare chiarezza, su tutta una serie di fatti legati al ritrovamento di una donna che aveva amato in gioventù, Cate.

L'incontro, casuale, avviene durante una passeggiata su per la collina di Torino, dove il professore va spesso, in compagnia del cane Belbo, e nonostante i rischi della guerra,  in una osteria, che si chiama "Le Fontane", che è anche il posto dove lei abita e che è di proprietà dei suoi.

L'urgenza di ricostruire la vicenda, ci racconta Corrado, è stata determinata anche da altro, anzi, forse soprattutto da altro, e, per esempio, da una drammatica forma di sdoppiamento che all'epoca dell’incontro lo opprimeva, una sorta di  debilitante scissione del sé, tale da costringere chi ne soffra a lunghe conversazioni solitarie, da una parte il sé presente, ci dice, dall'altra, nel suo caso, il ragazzo che tempo prima era stato, così: «... noi soli, il ragazzo e me stesso (...) E discorrevo, discorrevo, mi tenevo compagnia. Eravamo noi due soli».

La guerra e le circostanze politiche che la accompagnano diventano, anche se sembra paradossale, quasi solo un pannello di sfondo nella vita del Narratore, un’occasione di riparazione, una modalità per ricucire una dolorosa ferita precedente.

La presenza, la ricomparsa e il ritrovamento della donna,  lo costringono, infatti, a fare i conti con la propria condizione di isolamento e a forzarla.

Non solo perché Cate, che lavora a Torino in ospedale, ha un figlio, Corrado, che potrebbe essere del Narratore e si chiama come lui, ma anche perché la donna non è sposata, e a "Le Fontane" vive con parenti e ospiti di passaggio, compagni e amici, una sorta di comunità, tutta politica, determinata forse dall’emergenza della guerra.

Queste situazioni, questo tipo di comunità,  Corrado non le ha mai sperimentate, certo ne ha sentito parlare, ma non le conosce, non le ha praticate, e così si limita a osservare.

È dall'incontro con Cate che cominciano, comunque, per lui, tutta una serie di domande. 

Innanzitutto, quanto tempo prima si sono lasciati? 

Quanti anni sono passati, otto o dieci?  

E poi, perché?

È stata davvero, solo, colpa di una battuta infelice, che lui si è lasciato scappare una sera, se non si sono più visti?

E perché, subito dopo la storia con lei, di cui pure è stato innamorato, ha iniziato la relazione con un'altra, Anna Maria, così tanto diversa, con quella famiglia borghese e ingombrante alle spalle, «ricca e viziosa», riferirà a Cate, «sono meglio i fascisti. Del resto, i fascisti li hanno messi su loro», una donna che non gli piaceva neanche troppo?

E ancora, chi erano i suoi amici da ragazzo, è dove sono? Che cosa sono diventati?

Tutta una serie di personaggi ridotti ormai a ombre, a larve della memoria, si sfilano dal fondo, non solo Anna Maria e la sua famiglia, ma anche vecchi compagni di studi, fra cui Gallo, morto in guerra, e poi «i chiacchieroni, gli ambiziosi che scrivevano libri, commedie, poesie, se le portavano in tasca e ne parlavano al caffè», e Martino, che si era «sposato in un bar», vanno a posizionarsi di fianco alle presenze, più recenti, certo, ma ormai diluite anche loro dal ricordo, e anche loro per via della guerra, di Cate, del giovane Fonso, fattorino «in una ditta meccanica» e partigiano, del suo amico Nando «ferito in Albania» e sua moglie, chiamati pure «gli sposi sinistrati», che nell'osteria hanno trovato riparo, di Tono  «il gigante in tuta», e della sorella di Fonso, Giulia.

Tutti sono scomparsi per via della guerra, alcuni portati via dai tedeschi, altri fuggiti in montagna. 

Torneranno? Che cosa ne è stato di loro? 

Fuori dalla comunità delle Fontane, e quasi in opposizione ad essa, per quel che riguarda codici e modalità esistenziali, stanno invece Elvira e la madre, le donne con le quali il Narratore ha abitato, in affitto, non lontano dall’osteria, in collina anche loro, le proprietarie del cane Belbo. 

Forse, pensa il Narratore, tra lui ed Elvira c'è stato anche qualcosa d'altro, come una forma di complicità, un non detto che a volte li legava. Certo è che lui ha sempre saputo dell'affetto di lei,  ma non ha mai voluto affrontare l'argomento, accontentandosi del privilegio che quell'affetto gli ha sempre garantito. 

Perché, sembra chiedersi adesso, ancora,  dopo tanti mesi, non ha mai avuto il coraggio di dire ad Elvira di non voler approfondire quella relazione, e nonostante le insistenze, le insinuazioni, di lei?

Cosa ha significato per lui quella casa,  il modo di vivere tutto borghese di Elvira e sua madre? 
E perché ha raccontato a Cate quello che succedeva con loro,  le vecchie, come le chiamava?

Dove hanno trovato invece l'energia, la passione politica, un senso nelle cose tale da ribellarsi, Cate e Fonso, Dino, il ragazzo, e gli altri, i partigiani, che Corrado incontrerà più avanti nella storia?

Sfilano i colleghi di scuola, come in un gioco di attacco e resa: il Castelli, il Lancini, il primo che, per il terrore, dopo il 25 luglio, si dimetterà dalla cattedra, ma sarà arrestato, il secondo che probabilmente ha fatto la spia. 

Sfila il preside, che se ne lava le mani e vuole solo essere lasciato in pace,  forse per paura, anche lui. 

Non ha paura Corrado, invece. Se tutti i suoi sforzi ci paiono diretti ad evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento, al tentativo di non restare incastrato nei meccanismi dell'affetto, dei doveri, della politica, è piuttosto perché non trova un senso in quello che succede.

«L’unica strada è il terrorismo. Siamo in guerra» grida, «Ammazzarli (...)Levargli la voglia», dice, quando gliene capita l'occasione, e senza stare troppo a guardare il contesto. Ma lo pensa davvero? Vuole solo fare colpo sugli altri, quelli de Le Fontane, i politici?

«Di teppisti (...) conosco soltanto quelli che ci hanno messo in guerra e che ancora ci sperano», difende i compagni così, contro Egle, l’amica di Elvira. 

Tenta delle analisi, ma tutto si risolve in qualche battuta. Nella maggior parte dei casi si limita ad osservare, ad ascoltare in silenzio gli altri, tutti gli altri, quando dicono: «Hanno invaso le carceri». «C’è lo stato d’assedio». «Tutti i fascisti si nascondono» .

Un atteggiamento il suo che, da una parte, finirà per confermare l’isolamento interiore con cui il romanzo si apre, la freddezza del protagonista, permettendogli però  dall'altra, di sopravvivere e di raccontare, di scrivere, quel che è accaduto, della guerra, il romanzo, appunto.

Una guerra che, invece dell’evento tragico, tremendo, cui siamo abituati a pensare, si rivela una modalità per prendere fiato da una sensazione di oppressione,  si trasforma, ci confessa Corrado,  in «una tana e un orizzonte», una risorsa per far diluire angosce e tristi pensieri, un modo per allontanare «Quella specie di sordo rancore in cui s’era conchiusa la mia gioventù».

Finalmente, con la guerra, diventa possibile rimandare «ogni progetto all’indomani» senza bisogno di scelte definitive.

Resta da capire se con l'espressione la casa in collina, del titolo, Pavese, l'autore del libro, si riferisca a "Le Fontane", l'osteria, dove ha messo a vivere i resistenti, i politici o alla casa, certo borghese, ma tutto sommato accogliente, per Corrado, di Elvira e della madre. 

Dove sta, e quando si realizza, una casa, una comunità di affetti? 

Forse è quella dei genitori in cui Corrado alla fine si rifugia,  anche quella sulle colline (le altre, però, come le definisce)?

Un libro tutto fuori dalle banalità correnti, tragico e importante, e forse, come tutto il lavoro di Cesare Pavese, mai davvero, e fino in fondo, compreso.

 

Cesare Pavese

È stato scrittore, redattore, editore, traduttore e sceneggiatore.
Nato nel settembre, del 1908, a Santo Stefano Belbo (Cuneo), il paese di origine del padre Eugenio, e il posto dove la famiglia trascorre le vacanze estive, è l’ultimo di cinque figli, ma a sopravvivere all’infanzia saranno solo lui e la sorella maggiore, Maria, nata nel 1902. 
La madre, Consolina Mesturini, viene da una ricca famiglia di commercianti della provincia di Alessandria. Il padre, cancelliere al Tribunale di Torino, muore nel 1914. 
Pavese compie gli studi medi e universitari a Torino.
Al liceo Massimo D’Azeglio ha come professore Augusto Monti, antifascista, amico di Gramsci e Gobetti, e incontra Leone Ginzburg, Mario Sturani e Tullio Pinelli. 
Appassionato di letteratura angloamericana, nel 1927 si iscrive alla facoltà di Lettere dove conosce, fra gli altri, Giulio Einaudi, Norberto Bobbio, Massimo Mila. Si appassiona a Benedetto Croce.
Nel 1930 la madre muore e lui va a vivere con la sorella, che intanto si è sposata e ha due figlie.  
Nel 1931 lavora per Bemporad, come traduttore. Collabora, come critico, alla rivista "La Cultura", che qualche anno dopo dirigerà. 
Nel 1932 si laurea con una tesi su Walt Whitman.  Si mette a fare supplenze e a dare lezioni private. 
Nel 1933, per poter insegnare nella scuola pubblica, su insistenza della sorella, racconta nel diario, si iscrive al partito fascista. Conosce Battistina Pizzardo, una giovane matematica, attivista comunista, con cui ha una relazione.
Nel 1933 nasce la Einaudi.  Pavese ha da poco iniziato la collaborazione con la casa editrice quando, nel 1934, Leone Ginzburg viene arrestato. 
L’anno dopo, con l’accusa di antifascismo, verrà preso e portato anche lui alle Nuove, il carcere di Torino. Poi a Regina Coeli, a Roma, e da lì al confino in Calabria, per tre anni. 
Ma già nel 1936, per via di una richiesta di grazia fatta, racconta ancora, su insistenza della sorella, è di nuovo nel capoluogo piemontese.
Carocci gli pubblica le poesie di Lavorare stanca.
Dal 1938 è impiegato stabilmente con l’Einaudi.
Conosce Giaime Pintor, Natalia Ginzburg, Carlo Muscetta, Mario Alicata, Elio Vittorini. 
Ha una relazione con Fernanda Pivano, sua ex allieva, che ha conosciuto al liceo D’Azeglio.   
Il 1941 è l’anno di Paesi tuoi, accolto favorevolmente dalla critica.
Nel 1943 la casa editrice Einaudi lo invia a Roma per lavoro. 
Dopo l’8 settembre si rifugia nel Monferrato, per tornare a Torino nel ’45, a Liberazione avvenuta. 
La situazione generale, emotiva, è grave: molti dei suoi amici (Ginzburg, Pintor) sono stati ammazzati, il paese è devastato.
Pavese si iscrive al Partito Comunista e inizia a collaborare a "L’Unità". Conosce Davide Lajolo, Italo Calvino.
In quello stesso periodo, sempre per la Einaudi, torna a Roma, dove rimarrà per un anno. Incontra Bianca Garufi (con cui scriverà Fuoco grande, pubblicato postumo nel 1959).  
Nel 1947, di nuovo a Torino, pubblica i Dialoghi con Leucò, e inaugura la collana "I coralli". 
Dà vita, con Ernesto De Martino, alla "Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici" (detta "La Viola"). 
Nel 1948 esce Prima che il gallo canti (composto da Il carcere e La casa in collina). 
Il 1949 è l’anno della trilogia La bella estate e anche quello in cui avrà una relazione con l’attrice Constance Dowling. 
Nel 1950 pubblica La luna e i falò, e vince il Premio Strega per La bella estate. Ma è stanco e provato. Scrive un articolo, sul mito, nella rivista “Cultura e realtà”, che suscita critiche e incomprensione.
Nell’agosto dello stesso anno pone fine alla sua vita in una camera d’albergo di Torino. 
Usciranno postumi il diario, epistolari, poesie inedite, racconti. Appassionato di cinema sin da ragazzo, ha scritto soggetti e recensioni.

Libri utili

(la bibliografia su Pavese è vastissima, e non c’è storia letteraria, antologia italiana del Novecento, in cui, giustamente, non sia compreso: questa nostra è solo una approssimativa selezione)
 
B. Alterocca, Pavese dopo un quarto di secolo, Torino 1974

 

V. Arnone, Pavese: tra l’assurdo e l’assoluto, Padova, 1998
 
V. Binetti, Cesare Pavese. Una vita imperfetta: la crisi dell’intellettuale nell’Italia del dopoguerra, Ravenna, 1998
 
E. Catalano, Cesare Pavese fra ideologia e politica, Bari, 1976
 
A. Catalfamo, Cesare Pavese: la dialettica vitale delle contraddizioni, Roma, 2005
 
G. Colombo, Guida alla lettura di Pavese, Milano, 1988 
 
S. De Paola, Gli amori sofferti di Cesare Pavese, Roma, 2013 
 
A. D’Orsi e M. Masoero (a cura di), Pavese e la guerra, Alessandria, 2004 
 
D. Fernandez, L’echec de Pavese, Paris, 1967 
 
G. Ferretti, L’editore Cesare Pavese, Torino, 2017 
 
L. Fiedler, Introducing Cesare Pavese, in “Kenyon Review, n.4, 1954 
 
R. Gigliucci, Cesare Pavese, Milano, 2001  
 
M. Guglielminetti, G. Zaccaria (a cura di), Cesare Pavese. Introduzione e guida allo studio dell’opera pavesiana: storia e antologia della critica, Firenze, 1976
 
A. Guiducci, Il mito Pavese, Firenze, 1967
 
A. Guiducci, Invito alla lettura di Cesare Pavese, Milano, 1972
 
G. Isotti Rosowski, Pavese lettore di Freud. Interpretazione di un tragitto, Palermo, 1989
 
F. Jesi, in Letteratura e mito, Torino, 1968.
 
D. Lajolo, Il vizio assurdo: storia di Cesare Pavese, Mi, 1960
 
B. Mencarini, L'inconsolabile. Pavese, il mito e la memoria, Alessandria, 2013
 
F. Mollia, Cesare Pavese: saggio su tutte le opere, Firenze, 1963
 
L. Mondo, Cesare Pavese, Mi, 1961
 
A.M. Mutterle, L’immagine arguta: lingua, storia retorica di Pavese, Torino, 1977

G. Pampaloni, Trent’anni con Cesare Pavese: diario contro diario, Milano, 1981 
 
F. Pappalardo La Rosa, Cesare Pavese e il mito dell’adolescenza, Mi, 1973
 
S. Pautasso, Cesare Pavese oltre il mito: il mestiere di scrivere come mestiere di vivere, Genova, 2000 
 
S. Pautasso, Guida a Pavese, Milano, 1980
 
R. Puletti, La maturità impossibile: saggio critico su Cesare Pavese, Padova, 1961
 
G. Remigi, Cesare Pavese e la letteratura americana. Una splendida monotonia, Olschki, Firenze, 2012
 
M. Rusi, Le malvagie analisi. Sulla memoria leopardiana di Cesare Pavese, Ravenna, 1988
 
T. Scappaticci, Tra monotonia e sperimentazione: la ricerca di sé nei romanzi di Cesare Pavese, Cosenza, 2009

V. Stella, L’elegia tragica di Cesare Pavese, Ravenna, 1969 
 
M. Tondo, Itinerario di Cesare Pavese, Padova, 1965
 
F. Vaccaneo (a cura di), Biografia per immagini: la vita, i libri, le carte, i luoghi, Torino, 1989

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