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Tra le tante modalità che la vita offre per essere infelici ce n’è una che pesa più di altre.

Cosa succede quando, per educazione, scelte sbagliate, mancanza di carattere, non riusciamo a fare della nostra esistenza qualcosa che ci soddisfi, quello per cui ci sentiamo portati, o che comunque ci piacerebbe? Quanto pesa, in altre parole, nella nostra vita, una mancanza di fiducia in noi stessi e, più in generale, degli altri nei nostri confronti?

Immagino che mio padre mi considerasse un bambino strano, e avesse poco affetto per me, pur essendo molto attento nell'adempiere a quelli che considerava i doveri di un genitore”, dichiara Latimer, il protagonista di questo Il velo strappato, di George Eliot. 

L'autrice, una delle scrittrici inglesi più radicalmente innovatrici, è talmente convinta che applicarsi, e insistere, con attività, lavori, tempi che non fanno per noi sia deleterio, da trasformare un romanzo di formazione, genere ampiamente diffuso nel 1859, anno in cui questo libro uscì, in un romanzo del terrore.

Un uomo, Latimer, che ha la strana facoltà di prevedere con esattezza gli eventi futuri, e fra questi l’ora e il giorno della propria morte, sente di dover lasciare testimonianza ai lettori delle sue paurose quanto intricate vicende. 

Vicende che hanno inizio quando, dopo la morte della madre, il ragazzino non riesce a stabilire col padre un rapporto di confidenza. Il rapporto peggiora, fino a diventare senso di isolamento, quando il padre manifesta una forma di disprezzo nei confronti del figlio, che vede come un individuo fragile e senza carattere. Qui, come in ogni romanzo dell'orrore che si rispetti, inutile dirlo: Latimer finirà, non solo per corrispondere all’identità che il padre ha scelto per lui, ma anche per obbedirgli, riguardo alle scelte di studio ed esistenziali, rovinando del tutto la sua vita.

Tutto comincia quando il signor Letherall, una via di mezzo fra un commerciante borghese e il proprietario di un istituto per ragazzi problematici, dopo aver analizzato la testa del ragazzino, dice: «L'insufficienza è qui, signore... lì, e qui (...) Vede? Qui c'è un eccesso. Questo deve essere portato fuori, signore, e questo deve essere messo a nanna».

Il mondo delle lezioni private, dell’isolamento dagli altri ragazzi, considerati normali, entra nella vita di Latimer e ne plasma destino e carattere.

Il romanzo svolge qui un doppio ruolo. Se da una parte ci informa, infatti, su quel che riguarda usi e costumi della buona borghesia, quella che possedeva e investiva i capitali in proprietà terriere, in materia di educazione nella prima metà dell’ottocento, dall’altra ci dà la possibilità di constatare, attraverso le parole del protagonista, come la scarsa attenzione dei padri possa avere effetti devastanti sui figli.

E non solo, o non tanto, perché in termini di tempo la vita del ragazzo, prima, e dell’uomo, poi, sarà impiegata in qualcosa, per lui, di nessun interesse, qualcosa di fumoso e inconsistente, ma anche perché le scelte fatte, e alcune di esse soprattutto (il matrimonio, per esempio) assumeranno a un certo punto della sua esistenza il carattere inevitabile dell’irreversibilità.

E però George Eliot che è, prima di tutto, una scrittrice, e una grande scrittrice visionaria, non sceglie la via della morale, ma quella della forma letteraria per narrare tutto questo. Quando Latimer ci racconta della sua adolescenza, ci descrive un tempo quotidiano trasformato in tempo del quotidiano orrore, giorni e ore visitati da visioni e incubi, oltre che da uno stato di debolezza, all’inizio della vicenda, che diventa vera e propria malattia.

Ed è proprio durante uno di queste malesseri, subito dopo che il padre gli ha parlato di un possibile viaggio a Praga, per riprendersi, che la prima visione si manifesta: “Rimasi lì a fantasticare sulla parola Praga, con una strana sensazione, come se una nuova, meravigliosa, scena stesse prendendo forma davanti a me: una città sotto il sole cocente e mai bagnata, da molto tempo, da rugiade notturne o dalla pioggia impetuosa. Un sole estivo, di secoli lontani, fermato nel suo corso. Un sole che  bruciava la polverosa, stanca, grandezza di un popolo condannato in eterno a vivere nella ripetizione estenuante dei ricordi, come re ormai deposti e invecchiati nei loro regali brandelli intessuti d'oro”.

Quando il ragazzo, qualche tempo dopo, visiterà la città, la troverà esattamente come l'aveva vista nel sogno.

E però, un attimo.  

Quanti romanzi conosciamo in cui il protagonista, la protagonista, si ammala perché non può, per via di obblighi imposti dalla famiglia o dalla società, seguire i propri istinti o desideri? 

Forse è, questa, una delle trame più frequentate, soprattutto nella letteratura europea del primo e secondo ottocento.

Se, e quanto, l'irrealtà c’entri con un’esistenza dominata dalla scarsa fiducia in se stessi è qualcosa che appartiene, per quel che riguarda il romanzo, ancora al campo del, cosiddetto, realismo. Non solo: la malattia e il suo superamento sono, in qualche modo, costitutivi del romanzo di formazione.

L’innovazione compiuta da Eliot riguarda, qui, aspetti essenziali della forma narrativa che vanno a coinvolgere non solo la trama, ma anche le modalità di racconto.

La mancata possibilità che Latimer ha di esercitare l’attività poetica, il divieto di studiare e di sviluppare studi sul linguaggio, in questo Il velo strappato, non sono solo collegati alla presenza di visioni. 

Il romanzo borghese di formazione si trasforma, qui, in un romanzo dell'orrore, perché Latimer sviluppa, assieme a una sorta di preveggenza, un’altra capacità, quella di leggere nel pensiero altrui. Facoltà che viene meno in presenza di una sola persona, la donna di cui l'uomo si innamora, Bertha, la stessa che per qualche tempo rappresenta, è, prima di tutto, la fidanzata del fratello Alfred, il primogenito, il beniamino del padre.

Latimer, il giovane borghese privato della possibilità di scegliere se, e come, agire il linguaggio, finirà per subirlo. Ne sarà, alla fine, assediato, proprio come la visione del castello di Praga aveva in qualche modo predetto. 

Finiscono in incubi, allora, le parole che, bisognose di essere espresse, non vengono pronunciate?  

Eccolo, il punto centrale di questo bel romanzo. 

E, come le parole, finiscono per marcire anche le ambizioni? Quelle che, non riconosciute, e da noi stessi prima di tutto, vengono lasciate cadere?

Altre cose, fondamentali, sul  comportamento degli essere umani ci suggerisce questo romanzo. Ci suggerisce, per esempio, che la facoltà, il talento, di riuscire a leggere gli altrui comportamenti, una facoltà  tradotta da Eliot in una più specifica capacità di situarsi nel pensiero degli altri, è la stessa che, per certi aspetti, caratterizza il lavoro poetico, e cui si dà di solito, per l’appunto,  il nome di talento.

E una cosa in più, ci dice qui, l’autrice: questo talento ha poco, quasi niente per la verità, a che fare con una generica capacità di saper trattare con gli altri, saper stare al mondo, capacità che appartiene piuttosto alla sfera delle abitudini culturali e, come tale, può essere imitata, replicata, appresa. 

Latimer, pur avendo il particolare talento di sapere esattamente cosa gli altri pensano di lui, non saprà comunicare come si deve. Anzi, sarà proprio questa sua capacità, alla fine, a indebolirlo ulteriormente.

Un uomo goffo, maldestro, chiuso, poco curioso e rattristato dalla sicura certezza di conoscere, in anticipo, persino il giorno della propria morte: ecco cosa diventa da adulto Latimer, dopo, cioè, che ha lasciato andare a male, non utilizzato, una sorta di sensibilità umana, e in qualche modo, poetica che lo caratterizzava.

Qui Eliot è chiara: non c’è facoltà o sensibilità che possa salvare, aiutare, l’essere umano in mancanza di analisi e applicazione. Latimer fallisce perché non riesce a compiere gli studi per i quali è portato.

Lo stesso per quel che riguarda la sua facoltà di leggere il pensiero altrui.

Assieme alla frantumazione del luogo comune che vuole l’individuo salvo in presenza di una determinato talento, Eliot ne affronta, e ne rompe, un altro, quello dell’amore che redime. Nessuna facoltà risarcisce l’essere umano, senza studio e applicazione, e nessun amore, da solo, lo trascina fuori dalle circostanze in cui si è inabissato.

Latimer, innamorato di Bertha, che ha conosciuto come fidanzata del fratello maggiore, vedrà trasformato in dannazione quello che, per due terzi del romanzo, è stato il suo più grande desiderio.

Se Bertha, donna borghese interessata agli aspetti più retorici e fasulli dell’esistenza, andava d’accordo con Alfred, la rappresentazione più esatta e conforme dell’individuo prosaico, di cui condivideva fini e speranze, non potrà andare d’accordo con Latimer il cui più profondo desiderio era, invece, di ribellarsi all'ordine paterno dedicandosi alla poesia e agli studi umanistici.

Se Bertha non va d'accordo con il protagonista, ormai adulto, è, prima di tutto, perché lui si percepisce come un fallito. In più, lei non conosce per davvero le discipline di cui parla, e le confonde, piuttosto, con altro: eventi mondani, false posture, modi di fare ridicoli, chiaroveggenze. 

Se lei odia lui per non essere diventato un vincente, lui ricambia il sentimento perché la considera una povera, maldestra ignorante.

C’è un solo essere con cui Latimer ritrova il gusto e la voglia di vivere, un compagno di studi, un giovane appassionato studente di scienze, prima, e famoso scienziato, poi, la cui amicizia Latimer ha scelto da ragazzo, una delle poche cose, nella sua vita, su cui abbia esercitato davvero un controllo, Charles Meunier. Sarà lui, ad un certo punto, a determinare un cambio nella trama e a dare una svolta al romanzo.

Sulle libertà di scelta, sulle libertà individuali, e quelle femminili in particolare, sui condizionamenti che esse subiscono e sulle fatiche che prevedono, Eliot ha molto scritto e lavorato negli altri suoi romanzi e saggi. 

Che cosa rappresenta, Il velo strappato del titolo, se non il caso, la determinazione data dalla disperazione,  che ci aiutano, e aiutano il protagonista, a scoprire, mettere in evidenza, le menzogne che ci rovinano la vita? 

Menzogne e conformismi cui le relazioni fra donne non si sottraggono.  

Bertha, l’affascinante ragazza dell’inizio del romanzo, l’unica i cui pensieri restino inaccessibili al protagonista, si trasformerà, da adulta, dopo il matrimonio in particolare, in una sorta di guardiana della situazione così-come-è.  Immodificabile. E questo, prima che agli altri, è a lei che causerà dispetto e sofferenza. 

Convinta di avere al suo servizio una governante, la signora Archer, finirà per esserne sottomessa.  

E, proprio come abbiamo visto per Latimer ragazzino, trasformerà in sentimenti devastanti, in vero e proprio veleno, quello che, in condizioni normali, avrebbe potuto svilupparsi come relazione, e relazione felice, con un'altra donna, in questo caso.

Raramente un romanzo ha una logica interna così efficace e destinata a rimanere nel tempo. I ragionamenti e la psiche umana sostituiscono, qui, diventano, quello che fantasmi, angoli oscuri e  catene sono stati per tanta letteratura dell’orrore. Uno dei più bei romanzi della seconda metà dell’ottocento.

 

Biografia dell’autrice

 

Nata nel 1819 ad Arbory Hall, una ricca tenuta del distretto di Nuneaton, nel Warwickshire, a poco più di 100 chilometri da Londra, in cui il padre lavora come fattore, Mary Anne Evans è la terza figlia di Robert Evans e Christiane Pearson. I parenti della madre gestiscono un mulino.

Oltre a una sorella e un fratello maggiori (Chrissy, e Isaac), Mary Ann ha anche un fratello e una sorella (Robert e Fanny), nati da un precedente matrimonio del padre.

Sono di religione anglicana, della cosiddetta Chiesa Bassa, come molte famiglie nelle Midlands dell’epoca.

Mary Ann, con la sorella Chrissy, va a scuola a cinque anni, in collegio, ad Attleborough. Frequenta poi un istituto privato a Nuneaton. La sua insegnante, Maria Lewis, profondamente religiosa, rivestirà un ruolo fondamentale nella sua esistenza. Dai tredici e fino ai sedici anni la Evans è a Coventry, in un istituto di suore battiste.

Nel 1836 muore la madre, e Mary Ann lascia la scuola, per proseguire gli studi con l'aiuto di Maria Lewis. Tramite il padre ha accesso alla fornitissima biblioteca di Arbury Hall.

Nel 1840 il fratello Isaac si sposa ed eredita la casa di famiglia.

Mary Ann va a vivere col padre a Coventry, dove, a casa di Clara e Charles Bray, a Rosehill, entra in contatto con la cultura socialista e radicale dell’epoca. Conosce Ralph Waldo Emerson e Robert Owen. Smette di frequentare l'ambiente della chiesa, anche se questo le crea contrasti con la famiglia, e col padre in particolare.

Scrive recensioni e articoli di critica di costume per il "Coventry Herald and Observer", pubblicato da Charles Bray.

Porta a termine, per un editore indipendente, sempre dei giro di Rosehill, John Chapman, la traduzione de La vita di Gesù (Das Leben Jesu kritisch bearbeitet) di David Strauss, uscito nel 1835. Come già era successo in Germania, non mancano le polemiche religiose quando il libro viene pubblicato in Inghilterra, nel 1846. 

Nel 1849 il padre muore e Mary Ann va a vivere per qualche tempo a Ginevra, in Svizzera, prima coi coniugi Bray, poi da sola. Simpatizza per le rivoluzioni del 1848 in tutta Europa, e, per quel che riguarda gli italiani spera che caccino gli “odiosi austriaci”

Nel 1851 è a Londra dove lavora, formalmente come vicedirettrice, in realtà anche come grafica e impaginatrice, per "The Westminster Review", una rivista che Chapman ha da poco acquisito. Scrive recensioni e articoli di critica.

Incontra il filosofo George Henry Lewes. 

Nonostante lui sia sposato, fra critiche e pettegolezzi, vanno a vivere assieme, nel 1854, e qualche mese dopo si trasferiscono a Berlino.

Mary Ann traduce  l'Essenza del cristianesimo di Feuerbach. 

Nel 1856 i due tornano in Inghilterra, ma invece che a Londra risiederanno a Richmond.

Nello stesso anno, lei scrive e pubblica il saggio Silly Novels by Lady Novelists (Stupidi romanzi di signore romanziere), in cui critica trame e temi di tanta letteratura dell’epoca. 

Conclude la traduzione de l'Etica di Spinoza, che verrà però pubblicata solo dopo la sua morte.

In questi anni lei e il suo compagno, George H. Lewes, non hanno vita facile. Continuano, infatti, pubblicamente la loro relazione, e verranno più volte accusati di bigamia. 

In realtà, lui intrattiene ottimi rapporti anche con la moglie, Agnes Jervis, la quale ha, a sua volta, una relazione e figli con un altro uomo, Thornton Leigh Hunt. Quello che non viene perdonato, in queste dinamiche, è proprio l’indifferenza alle convenzioni.

Nel 1857 Evans pubblica, sul "Blackwood’s Magazine", e con lo pseudonimo di George Eliot,  la prima delle Scene di vita clericale (Scenes of Clerical Life), Amos Barton. 

Altre due ne seguiranno, Mr. Gilfil Love Story (La storia d'amore del signor Gilfil) e Janet’s Repentance (Il pentimento di Janet).

Nel 1859 esce Adam Bede, il suo primo romanzo, accolto favorevolmente da critica e pubblico. Lo pseudonimo George Eliot, scelto anche in omaggio al compagno (George H. Lewes), le garantirà la riservatezza necessaria dopo lo scandalo suscitato dalla convivenza. 

Sempre nel 1859 esce  The Lifted Veil (Il velo strappato) e l’anno dopo The Mill on The Floss (Il mulino sulla Floss). 

Nel 1860 sono in Italia, a Firenze, Roma.

Del 1861 è Silas Marner.

Allo scoppio della Guerra civile americana Evans manifesta simpatie per gli abolizionisti.

Tra il 1862 e il 1863 viene pubblicata, in due parti, il romanzo storico Romola, ambientato nella Firenze del Savonarola. 

Nel 1864 esce Brother Jacob (Jacob e suo fratello), e nel 1866 Felix Holt, the Radical (Felix Holt, il radicale).

Del 1868 è il primo tentativo dell'autrice di una narrazione in versi, The Spanish Gipsy (Lo zingaro spagnolo), cui segue, nel 1869, sempre in versi The Legend of Jubal (La leggenda di Jubal). 

Tra il 1869 e il 1872 esce, in otto volumi, Middlemarch, un affresco della società inglese di provincia nella prima metà dell’ottocento. 

Nel 1870  la scrittrice aderisce alla causa femminista per quel che riguarda le richieste delle donne su istruzione, lavoro, uguaglianza nel matrimonio e custodia dei figli.

Del 1876 è Daniel Deronda. Nello stesso anno muore George H. Lewes. L’autrice ne cura le opere postume, Life and Mind (Vita e mente).

Tra il 1877 e il 1878 la scrittrice lavora a una serie di saggi critici che usciranno in volume, nel 1879, col titolo di Impressions of Theophrastus Such (Impressioni di Theophrastus Such).

A maggio del 1880, già più che sessantenne, sposa John Walter Cross, un agente d’affari di venti anni più giovane. George Eliot morirà nel dicembre dello stesso anno per un'infezione alla gola. Non potrà essere sepolta a Westminster Abbey, come avrebbe desiderato, perché non credente. La sua tomba è a Highgate, a Londra, accanto a quella di George H. Lewes. Sull’iscrizione funebre questa volta c’è scritto Mary Ann Cross.

Libri utili

R. Ashton, George Eliot: a life, London, 1997

E. Bassi, Medaglioni letterari: la vita e le opere di Jane Austen e George Eliot, Napoli, 1914

H. Bloom, Il canone occidentale, Milano, 1996

L. Cooper, George Eliot, London, 1960

P. De Logu, La narrativa di George Eliot, Bari, 1969

G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Milano, 1998 

 

S. M. Gilbert, S. Gubar, The Madwoman in the Attic: The Woman Writer and the Nineteenth-Century Literary Imagination, New Haven, 1979

 

H. James, (su Middlemarch, sta in) "The Galaxy",  Marzo, 1873

 

F.R. Leavis, La grande tradizione, Milano, 

 

D. Lodge, Henry James e altri saggi, Milano, 2010

 

F. Marroni, La verità difficile, Bologna, 1980

 

M. Mercier, Il romanzo al femminile, Milano, 1979

 

E. Moers, Grandi scrittrici, grandi letterate, Milano, 1979

 

F. Moretti, Il romanzo di formazione, Milano, 1986

 

G. Negri, George Eliot: la sua vita e i suoi romanzi, Milano, 1893

 

M. Pennacchia Punzi, Il mito di Corinne: viaggio in Italia e genio femminile in Anna Jameson, Margaret Fuller e George Eliot, Roma, 2001

 

M. Praz, La crisi dell’eroe nel romanzo vittoriano, Firenze, 1935

 

M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Milano, 2006

 

E. Showalter, Una letteratura tutta per sé, Milano, 1984

 

L. Villa, Riscrivendo il conflitto: indagine sull’indagine del genere nella narrativa di George Eliot, Alessandria, 1994

 

V. Woolf, George Eliot (sta in "The Common Reader: First Series", London, 1925) 

V. Woolf, La signora dell’angolo di fronte, Milano, 1979

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