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 Il tema dell’essere umano che vede la propria vita improvvisamente modificata dalla presenza di un oggetto non è nuovo, né particolarmente originale.
Pensiamo, per fare un esempio fra i più noti, a Cenerentola e alla sua scarpetta. La favola è di quelle senza tempo se è vero che, dalla prima versione, risalente all’Antico Egitto, e fino a quella di Perrault (seconda metà del secolo XVII), altre ne sono passate. Tutti sappiamo cosa succede a Cenerentola quando indossa quella scarpa e, soprattutto, a quale felicità andrà incontro.
Il cappotto (1842) (Il pastrano, secondo la felice traduzione di Enrichetta Carafa, pubblicata da UTET nel 1937) è una cosa diversa. L’illusione che Akaki Akakievic Bašmačkin nutrirà, da un certo punto del racconto in poi, che la propria vita possa davvero essere modificata dal possesso di un nuovo indumento si rivelerà presto per quel che è: solo un’illusione.
Le aspettative che l’uomo ripone nell’oggetto sono legate unicamente alla sua fantasia: sono sue, per usare un termine più vicino a noi, proiezioni. Se i colleghi, dal momento in cui glielo vedono addosso, non ridono più di lui, infatti, non è perché qualche evento interno alle relazioni le abbia modificate in favore di Bašmačkin, ma solo perché, come succede ancora oggi, il possesso (e il suo essere un di più) di un oggetto, soprattutto se costoso, induce chi guarda, spesso, a una vera e propria forma di rispetto.
Non che mancheranno, al nostro protagonista, e proprio come a Cenerentola, la serata di gala, l’ingresso in una casa tutta illuminata, piena di gente festosa e importante che l’accoglie con benevolenza, ma - a differenza che nella nota fiaba senza tempo - sarà proprio quella serata a inaugurare la fine di Akaki Akakievic.
Il cappotto non è, infatti, un oggetto magico, e il fantastico di Gogol’ è talmente lontano dal magico di una favola da far venire il dubbio che di fantastico si tratti.
Non solo perché, Petrovic, il sarto, l’artefice del cappotto, tolta la sua «unghia del pollice grossa e dura come la scaglia di una tartaruga», non ha nulla che possa far pensare a un mago, ma anche perché sono le speranze di Akakievic di uscire, attraverso il cappotto, da una situazione patologica, a rivelarsi sbagliate. Il pastrano in cui l’uomo ripone la sua identità futura, quell’oggetto il cui possesso gli dà momenti di speranza e anche qualcosa che tanto assomiglia alla felicità, ha un oggettivo valore di scambio, e Akaki Akakievic non è altro che uno dei primi prototipi dell’uomo seriale. E così, se la scarpetta di Cenerentola poteva e doveva essere calzata solo da lei, qui la situazione è diversa: un pastrano come quello di Bašmačkin, seppure fatto a mano, appartiene già alla categoria giuridica delle merci fungibili, quelle che, in quanto tali adempiono tutte alla stessa funzione di tipo economico. E anche Bašmačkin non è unico. Il cappotto e, in qualche modo, anche il suo possessore, appartengono al mercato. Un indumento che ci ripari dal freddo deve essere comprato. E così come può essere comprato potrà essere scambiato, rivenduto, o semplicemente rubato. Da loro, «Certi uomini baffuti»: traduce così Enrichetta Carafa, gli stessi che si appostano nelle piazze deserte a notte fonda.
Un racconto fondamentale della letteratura perché descrive, in pochi tratti, un aspetto specifico della figura dell’alienato: l’illusione, cioè, di potersi liberare da una situazione di inferiorità attraverso l’uso, o il possesso, di un oggetto.
Un racconto realistico: dove persino lo spettro ha, esattamente come il cappotto, e nonostante lo spavento che induce nelle donne e negli uomini, caratteristiche tali, da far dire a Gogol’: «… una volta, un porcellino da latte, sbucato da un cortile, lo fece cadere in terra, con grandi risate dei cocchieri da nolo che stazionavano là e dai quali egli pretese, per quelle loro risate, un grosc per il tabacco». Uno spettro, ancora, che mostra i pugni quando lo fanno arrabbiare, e che, dice l’autore, «portava grossissimi baffi», proprio come gli uomini che hanno derubato Akakievic. Sono, allora, gli esseri umani, con le loro fantasie e i loro sensi di colpa (ben più paurosi spettri interiori) a trasformare un onesto ladro qualunque, in un leggendario fantasma d’impiegato? O è il mercato il vero spettro?

Enrichetta Capecelatro (Duchessa d’Andria)

Nata a Torino nel 1863 e morta a Napoli nel 1941, studia a Firenze col dantista Giambattista Giuliani e pubblica, giovanissima, alcune poesie.

Del 1881 è il Diario dantesco tratto dalla Divina Commedia.

Traduttrice dal russo (Gogol’, Dostoevskij, Čechov, Puškin, Andreev), pubblica romanzi (Rovine di stelle, 1928), poesie (Rime, 1889/1892), saggi (Alcune considerazioni intorno al romanzo Guerra e pace di Leone Tolstoi, 1925), con lo pseudonimo di Duchessa d’Andria. Suo marito era il senatore Riccardo Carafa d’Andria.

Libri utili: 

B. Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, Ba, 1921

T. Rovito, Letterati e giornalisti contemporanei, Na, 1922

G. Casati, Dizionario degli scrittori d'Italia, Mi, 1925

M. Gastaldi, Panorama della letteratura femminile contemporanea, Mi, 1936

M. Bandini Buti, Poetesse e scrittrici, Roma 1941

Nikolaj Vasil'evič Gogol'

 

Specialista in outsider (Taras Bul'ba del racconto omonimo), personalità borderline (l’avido Čičikov e la scaltra Korobočka de Le anime morte), e, più in generale in personaggi grotteschi quanto umani

(l’assessore Kovalèv  de Il naso; il povero Akakievič Bašmačkin, de Il pastrano), Nikolaj Gogol’ è autore amatissimo, e da più di una generazione di lettori e lettrici.

Nasce in Ucraina (Velyki Soročynci) nel 1809, e dopo un’infanzia e un’educazione ispirate alla più rigida religiosità, si mette a scrivere.

È nel 1831, con i racconti de Le veglie alla fattoria di Dikanka, che arriva la notorietà. Conosce Aleksandr Puškin.

Viaggia molto in Europa e vive a Roma dal 1837 al 1839. Conosce G.G Belli.  

Escono altri suoi racconti (Arabeschi, 1835), poi la commedia L’ispettore generale (1836) e il romanzo Le anime morte (nel 1842).

Quando, nel 1845, a Francoforte, si ammala, va a vivere a Praga.

Poi di nuovo a Roma, dove scrive il secondo volume de Le anime morte. Volume che, purtroppo, brucerà, poco prima della morte, avvenuta a soli 43 anni in seguito a una crisi mistico-religiosa.

Nel 1998 è nato un gruppo musicale a lui dedicato.

Libri utili:

Nikolaj V. Gogol’ (a cura di Serena Prina) sta in: Opere, Mi, 2006

G.A Borgese, Ottocento europeo: Daudet, Saint-Beauve, Gobineau, Flaubert, Schiller, Goethe, Kleist, Chamisso, Heine, Ibsen, Shelley, Zangwill, Tagore, Gogol, Dostoevskij, Tolstoj, Andreev, Towianski, Mi, 1927

S. M., Ejzenštein, Stili di regia: narrazione e messa in scena: Leskov, Dumas, Zola, Dostoevskij, Gogol’, Ve, 1993

T. Landolfi, Gogol’ a Roma, Fi, 1971 (2015)   

D. S. Merezkovskij, Gogol' e il diavolo, Verona, 2014

V. Nabokov, Nikolaj Gogol’, Mi, 1972 (2014)

V. Strada, Gogol’, Gor’kij, Cečov, Roma, 1973

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