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Con questo Flush, uscito nel 1933, Virginia Woolf non ha solo modificato punti di vista nelle, e sulle, biografie, modo di raccontare una storia e forse, più in generale, sulla maniera di guardare ai cani.

Assieme alla vita e alle vicende di Flush, cocker spaniel «marrone», di quella sfumatura che il sole fa brillare «tutto quanto d’oro», l’autrice inglese ci racconta, infatti, esistenza e amori della scrittrice Elizabeth Barrett: la sua passione per Robert Browning, il loro matrimonio, la fuga in Italia, la nascita del figlio Pen, la passione per lo spiritismo e per il Risorgimento italiano.

Biografia non più, o non solo, come celebrazione, quindi.

Ma storia di un riconoscimento, fra un essere umano, una donna, e un cane.

Non c’è nulla, da un certo punto in poi, della vita della poetessa, che non venga visto e giudicato anche dal cane Flush. Nulla su cui il cane non potrebbe, se solo ne avesse la strumentazione, dire, anche a parole, la sua.

Come lega Woolf i due personaggi, i due protagonisti di questa storia?      

Se poche righe più sopra ho parlato di modifica dei punti di vista è perché nell’universo che l’autrice crea, tutto quello che è guardato, di solito, come fragile, indifeso, non addomesticato, al limite del fastidioso (donna malata, cucciolo di cane, bambino molto piccolo), o del tenerone, tutto ciò, in due parole, che è considerato solo per donne, assume qui tratti di potenza, di sfida (e non importa quanto gioiosa, o volontaria) oltre che di profonda umanità (ciò che dovrebbe essere comune o necessario a).

E viceversa, tutto ciò che è di solito destinato alla conquista, alla competizione, al rombo dell’affermazione soggettiva, viene, in questa storia grandemente ridimensionato e visto per quello che spesso, miseramente, è.

È un po’ come se Woolf ci mettesse a disposizione lenti capaci di leggere l’animo umano, e attraverso di esse ci aiutasse a capire, comprendere, tutto ciò che di approssimativo, spostato e anche un po’ presuntuoso, si nasconde dietro certe vite, certe modalità di esistenza, non solo e non necessariamente, maschili.

Come fa Woolf a compiere, così felicemente, questa operazione?

Innanzitutto, non fa mai delle affermazioni di principio sul mondo delle donne. Nessuna tirata sulla loro generosità, bellezza, felicità, simpatia. Così come non cerca mai di convincere noi, né il resto dell’umanità, di quanto fondamentale, o entusiasmante sia, il mondo degli animali.

Non disprezza gli uomini, i maschi, per partito preso, né li mette inutilmente in ridicolo. Si muove, invece, a partire dalle convenzioni: o meglio, muove storia e personaggi a partire da esse.  

Un esempio.

Uno dei paragrafi fondamentali della vicenda è quello in cui Flush viene rapito.

Lo è in quanto momento drammatico e perché, proprio come nella vita reale, durante i momenti drammatici, le convenzioni e le regole tendono a saltare.

Altri autori, altre autrici, ci avrebbero, probabilmente, qui, e forse anche legittimamente, imposto il monologo della padroncina che, in nome della giustizia, chiede ai ladri la restituzione del cane. Qualche altro, altra, ci avrebbe invece regalato un ritratto sentimentale della proprietaria che, legittimamente anche lei, si lamenta per la perdita subita. Non è sufficiente il lamento, sembra dirci Woolf, a creare poesia. Così come non sarà sufficiente parlare di giustizia perché questa davvero funzioni, o si metta in moto. Due, i punti di vista, nella storia del rapimento che Woolf va a raccontare. Il primo è quello di Flush che lo subisce.

Ed è una scelta di campo: «A un dato momento s’era trovato in Vere Street tra nastri e merletti; un momento dopo veniva gettato a capofitto in un sacco; sbatacchiato in gran furia per molte strade, e finalmente scaraventato fuori – qui. Si trovava nella più completa oscurità. Si trovava al freddo, nell’umidità. Non appena si fu riavuto dallo stordimento poté discernere alcune forme in una stanza bassa, scura – seggiole rotte, un materasso arrotolato in terra. Poi lo afferrarono, e lo legarono saldamente per la zampa a un ostacolo».

Oppure: «Marmocchi uscivano a quattro gambe da angoli bui e venivano a pizzicargli le orecchie. Flush mugolò, e una mano greve lo picchiò sulla testa. Allora andò a rannicchiarsi sui pochi pollici di mattoni umidi contro il muro. Ora poteva vedere che il piancito era affollato di animali d’ogni specie. Alcuni cani si litigavano e si strappavano un osso mezzo guasto che s’erano buscato tra tutti». Siamo a livello del pavimento. 

Il secondo punto di osservazione è quello di una donna che, pur di riprendersi il cane, non esita ad uscire dalla camera da letto dove vive prevalentemente, per via di una reale fragilità fisica di cui soffre fin dall’infanzia, in compagnia della propria governante, e ad affrontare i rapitori. Qui sta, anche, uno dei momenti risolutivi ai fini della storia. Risolutivo perché, pur avvenendo a metà della narrazione, contiene, della vicenda, in qualche modo, la soluzione. Elizabeth va a cercare il cane. Ma sarà a partire da questa uscita, dal superamento di questa prova, che si accorgerà di poter fare a meno di molte delle restrizioni che, da anni, il padre le impone.  Così come saprà di potersi ribellare a Robert in qualsiasi istante. 

C’è qui un altro motivo essenziale della vicenda: le relazioni della protagonista con gli uomini.

Come sono?

Se la giovane è sempre uscita poco è stato, certo, per via della fragilità impostale dalla malattia, ma anche per attenuare, non contrastare, alleviare, le paure paterne, le stesse che la vedevano inadatta a una vita normale. 

Dopo che ha incontrato di persona Mr. Taylor, il capo della banda dei rapitori, ha litigato con tutta la famiglia, con Robert, con l'intero vicinato, e, in cambio di soldi, si è fatta restituire il cane, Flush, cosa potrebbe più fermare Elizabeth Barrett?

La donna ha sperimentato, dopo la fuga nel tentativo di salvare ciò a cui tiene, la sua forza.

E noi, come lettori e lettrici, ci siamo resi conto di come, a considerare solo le richieste, Mr. Barrett e Mr. Taylor non si comportino poi così diversamente con la ragazza. Il loro, infatti, è un comune invito a stare in casa, a farsi fermare dalla paura.

Certo, Mr. Barrett agisce nell’interesse della figlia e Mr. Taylor nel proprio esclusivo interesse, ma noi qui ci limitiamo ad osservare le richieste, non a selezionare le finalità per cui vengano fatte. Quale è il movimento psicologico sotterraneo, essenziale, di questo importante testo?

Quando le rapiscono il cane, Elizabeth prova a chiedere aiuto, e poiché l’aiuto le viene negato, pensa che dovrà andarci lei. Ma pensa anche che forse non ce la farà a sopravvivere, andando a recuperare Flush: è sicura che ne morirà, perché è fragile, in primo luogo, ma soprattutto perché deve affrontare un branco di criminali tagliagole.

E invece, non solo ce la fa, ma è da questa uscita forzata, che Elizabeth troverà, e dopo aver recuperato Flush, la determinazione per sposare Robert Browning senza il consenso del padre, prima di tutto, e per andarsene di casa, poi.

Non è tanto il fatto che si tratti di una storia vera a rendere verosimile questa avventura, ma la credibilità del movimento psicologico, la lettura che ne dà l’autrice. Qui c’è da specificare una cosa: Woolf non rende la Barrett Browning un’eroina, non la rende mai, neanche nei momenti più drammatici della storia, o anche solo agli occhi di Flush, una Supergirl. Mai troppa sofferenza, mai troppa ironia, mai troppa sfida. Non romanticizza mai, l'autrice inglese, né mai estremizza. Barrett è indecisa, Barrett ha paura, Barrett vorrebbe credere a Robert che le dice: «Non puoi andare…». Barrett vorrebbe starsene tranquilla. Il problema è che non può.

«Il signor Browning dicesse pure quello che voleva, ella sarebbe corsa a liberare Flush, dovesse pur scendere negli abissi di Whitechapel per andarlo a prendere, dovesse pur subire il disprezzo di Robert Browning per quel gesto».

Se Woolf è così brava a leggere le storie degli altri è perché parte da sé. Laddove il partire da sé, il rintracciare se stesse, se stessi, non vuol dire fare un elenco delle onorificenze e degli onori ricevuti, né, tanto meno degli sgarbi, ma invece la capacità, che a volte si può imparare,  di mettere in comune, di affidare agli altri, a una precisa, o generica, comunità, la propria passione critica che, anche qui, non è da identificarsi in un inutile talento nell’essere criticoni, o nel fare battute pettegole o cattive, ma nel nutrire un proprio sguardo sul mondo, che ci sia o no qualcuno disposto a riceverlo o a comprenderlo.

È un romanzo, questo, fatto di sei lunghi capitoli. Racconta una storia che si svolge prevalentemente nella prima metà dell’ottocento, ambientata fra i sentieri fangosi del Berkshire, o le strade, a volte fangose pure loro, di Londra, e certi vicoli, o campagne, soleggiati di Firenze o Pisa, in Italia.

È un romanzo, ancora, sul linguaggio e il suo potere. Una storia che accenna alle parole umane e ai versi, o pensieri, canini, e insegna come siano regolati da precisi alfabeti, ma che, più di tutto, parla di affetti, della vita, delle vite, sarebbe meglio dire, nelle loro unicità.

Un romanzo in cui l’autrice si diverte a prendere in giro le convenzioni estreme, le regole astratte cui bisogna sottoporsi per poter aver accesso alla parola, quella pubblica soprattutto, ci consiglia vie di fuga, ci insegna pratiche collegate a insolite scorciatoie. Tutte scelte cui, nella maggior parte dei casi si è costrette, o costretti, e che possono dare, a volte, più piacere e gusto di vivere, di tanta, certa, sovrabbondante retorica.

Tre cose, qui, brevemente, per chiudere: Miss Wilson, lo spiritismo, Panini e il Risorgimento italiano.

Miss Wilson è la governante di Elizabeth.

Fuggirà con lei, si innamorerà del signor Righi, che l’abbandonerà.  Timorosa all’inizio, poi sempre più convinta («la Wilson – la formidabile implacabile Wilson»), Woolf le dedica un’intera, lunghissima nota (che abbiamo messo, nella versione in PDF, a fondo pagina, e non alla fine del libro, perché venga letta) in cui assimila la vita della governante a una e vera e propria categoria filosofica. Un essere che c’è, esiste, ma è assente; si parla di lei mentre è in vita, e verrà, forse, completamente dimenticata a partire dal giorno della morte.

Lo spiritismo: una pratica liberatoria, perché evocativa delle persone che abbiamo amato e cui abbiamo voluto bene. Possiamo anche non crederci, ma Barrett Browning lo collega alla sua passione per l’arte. A Flush, invece, non interessa, anzi, ne è infastidito e reagisce così: «Ora si trovava imbrogliato in mezzo a un frusciar di gonne e a un stiracchiar di pantaloni. Di più: il tavolino stesso rullava violentemente da una gamba all’altra. Flush non sapeva da che parte scappare. Che cosa diavolo succedeva? Per amore del Cielo, che spirito s’era impossessato del tavolino? E Flush fece sentir la sua voce in un prolungato miagolio inquisitivo».

Forse anche il Risorgimento italiano appartiene alla categoria delle evocazioni, amorose nel caso di Flush che, dice Woolf: «Attraverso bandiere e folla, seguì la cagnolina, che fuggiva sempre più lontana, verso il cuore di Firenze». Dice Scalero, nell’introduzione, che «l’apprensione con cui seguiva le vicende del nostro Risorgimento» potrebbe aver accelerato, nel 1861, la morte della nostra protagonista. 

E in ultimo: "Pen", il figlio di Elizabeth Barrett e Robert Browning, la cui primissima infanzia viene accompagnata, anche lei, da Flush, il cane. Lo stesso che ha involontariamente aiutato la protagonista a uscire di casa, a partire per l’Italia, a condividere coi patrioti e le patriote le emozioni per il Risorgimento italiano, e per celebrare il quale, questo  libro è stato scritto. 

Qualcuno, qualcuna, sostiene che il libro non piacesse a Woolf che in una lettera all’amica Sibyl Colefax, invece, scrive: «Sono molto felice che ti sia piaciuto. Penso che dimostri la tua grande capacità critica, perché il libro era tutta una questione di accenni e sfumature, e praticamente nessuno, a parte te, era ancora riuscito a vedere quello che cercavo di mostrare».

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Alessandra Scalero 

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Ricordata quasi esclusivamente come traduttrice, Alessandra Scalero, nata a Torino nel 1893 è un'importante figura di intellettuale a torto sottovalutata: non solo perché contribuì, durante il fascismo, a diffondere testi e autori stranieri (Willa Cather, John Don Passos, Virginia Woolf fra gli altri), ma per l'azione, in qualche modo tutta politica, che svolse.
Figlia di un musicista, Rosario Scalero, e di Clementina del Grosso, segue, con le sorelle Liliana (anche lei futura traduttrice e scrittrice) e Maria Teresa (futura bibliotecaria) la famiglia fra Londra, Vienna e Lione.
Nel 1907, sempre per impegni paterni, è a Roma, dove frequenta il Liceo, il Tasso, che però non finisce per motivi di salute. Si iscrive invece alla scuola infermieristica del Policlinico Umberto I e come infermiera presta servizio durante la Prima guerra. Finito il conflitto va a lavorare presso la Red Cross statunitense che aveva allestito ospedali da campo in tutta Italia. È a partire dal 1928 che Alessandra comincia a lavorare come corrispondente da New York per la rivista "Lo Spettacolo d'Italia" di Alessandro Blasetti. Dal 1930 lavora invece come traduttrice per l'editore Corbaccio e dal 1932 inizia la sua collaborazione con l'editore Mondadori e la collana La Medusa. Oltre che la Woolf, ha tradotto Alfred Döblin, Daphne Du Maurier, Jakob Wassermann e compilato innumerevoli schede e pareri di lettura. Prima di morire, a soli 51 anni, nel 1944, per i postumi di un intervento chirurgico, fece in tempo ad avviare con Adriano Olivetti, anche lui piemontese, una nuova casa editrice, la "Nuove edizioni Ivrea" precorritrice delle "Edizioni di Comunità".

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Libri utili
 

Ada Gigli Marchetti, Le edizioni Corbaccio. Storia di libri e di libertà, Franco Angeli, Milano, 2000

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Elisa Bolchi (sta in): Rivista Tradurre, Un pilastro della «Medusa». Alessandra Scalero nel carteggio con la sorella Liliana, Numero 14, 2018
 

Virginia Woolf

 

Virginia Stephen nasce a Londra nel 1882.

Suo padre Leslie è un famoso storico, critico letterario, sua madre, Julia Prinsep-Jackson, nata in India, ha lavorato come modella per pittori. I due, entrambi vedovi, hanno già avuto figli (George, Stella e Gerald Duckworth, lei; Laura Stephen, lui). Assieme ne avranno altri quattro. Virginia è la terza (prima di lei Vanessa e Toby, dopo, Adrian).  Per ciò che riguarda l'educazione, intense letture e lezioni private, come era d'uso per le ragazze dell'epoca. Nel 1895, quando la futura scrittrice ha tredici anni, la madre muore, e nel 1897 se ne va anche Stella Duckworth, una delle sorelle.

Cominciano le prime crisi nervose.

Segue corsi di greco e storia al King’s College. Nel 1904, muore il padre. Poco dopo inizia la sua collaborazione al  Guardian e, coi fratelli si trasferisce in una casa a Gordon Square, a Bloomsbury. E. M. Forster, Clive Bell, Lytton Strachey, l'economista John Maynard Keynes sono loro amici. Nel 1906 muore l'amato fratello Toby. Nel 1912 Virginia sposa Leonard Woolf, teorico della politica, pacifista, politicamente impegnato, e nel 1915 pubblica il suo primo romanzo: La Crociera. Un paio d’anni dopo fonda, col marito, la Hogarth Press. Lavora per il Times Literary Supplement.  

Il 1919 è l'anno del romanzo Notte e giorno. Per la Hogarth Press, escono testi e volumi di autori e autrici che si riveleranno fondamentali, e non solo per la cultura del tempo (Katherine Mansfield e T.S. Eliot, per esempio). Nel giro di cinque anni escono tre fra i testi narrativi più noti dell'autrice: La stanza di Jacob (1922), Mrs. Dalloway (1925) e Gita al faro (1927).

Del 1928 è Orlando, esplicito omaggio alla sua relazione con la scrittrice Vita Sackville -West. L'anno dopo esce il suo saggio politico forse più importante, Una stanza tutta per sé.

Nel 1931 pubblica uno dei suoi romanzi più belli e innovativi: Le onde.  Nel 1932 esce la seconda serie de Il lettore comune (la prima era uscita nel 1925), una raccolta di recensioni e saggi critici.

Tra il 1933 e il 1938 escono Flush, una biografia del cane di Elizabeth Barrett Browning,  il romanzo Gli anni, e un altro importante saggio femminista: Le tre ghinee. Si ripresentano gli stati depressivi.

La situazione in Europa è sempre più difficile. Virginia Woolf sta male. Nel 1940 pubblica Roger Fry, biografia dell’amico, artista e critico d’arte inglese.

Il romanzo Tra un atto e l’altro uscirà poco dopo la morte, per suicidio, dell'autrice avvenuta nel 1941.

Virginia Woolf, che lascia anche racconti (I giardini di Kew e Il lascito, fra i più belli, a mio parere), un importante Diario, e delle Lettere, essenziali per la comprensione del suo lavoro, è una figura ormai leggendaria, per storia e autorevolezza, e non solo del femminismo. È stata immortalata al cinema, nel 2002, da Stephen Daldry in The Hours (dal romanzo di M. Cunningham del 1998), da Chanya Button, nel 2018, in Vita & Virginia (dall'opera teatrale di Eileen Atkins, del 1992).

Notevole anche il film di Marleen Gorris, del 1997, Mrs. Dalloway, tratto dal romanzo omonimo.

La sua opera è stata tradotta in più di cinquanta lingue.

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Libri utili:

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Q. Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano, 1974 e 1994

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R. Bertinetti, Virginia Woolf: l'avventura della conoscenza, Jaca Book, Milano, 1985

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A. Brawer, Ritratto come autoritratto: Al faro di Virginia Woolf, Torino, 1987, 

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E. Cecchi, Scrittori inglesi e americani: Byron, Carlyle, Melville... [et al.], Giuseppe Carabba Editore, Chieti, 1935

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V. Curtis, Virginia Woolf e le sue amiche, La Tartaruga, Milano, 2005

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E. Di Piazza, Virginia Woolf nella critica italiana, Palermo, 1975

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N. Fusini, Possiedo la mia anima: il segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano, 2006

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J. Goldman, The feminist aesthetics of Virginia Woolf: modernism, post-impressionism and the political of the visual,  Cambridge, 1998

 

A. Guiducci, Virginia e l'Angelo, Longanesi, Milano, 1991

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H. Lee, Virginia Woolf, Londra, 1996 

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O. Palusci (a cura di), La tipografia nel salotto: saggi su Virginia Woolf, Torino, 1999

 

L. Rampello, Il canto del mondo reale: Virginia Woolf, la vita nella scrittura, Milano, 2005

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E. Rombi, La proliferazione del senso: James Joyce, Virginia Woolf, Pisa, 1994, 

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G. Spina, Il romanzo psicologico di Virginia Woolf, Genova, 1980

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P. Rose, Virginia Woolf, Editori Riuniti, Roma, 1980

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P. Zaccaria, Virginia Woolf: trama e ordito di una scrittura, Bari, 1980

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