
Pubblicato nel 1833, e inserito dall’autore negli Studi della vita di provincia, questo Eugénie Grandet è uno dei romanzi di Balzac in cui più risulta evidente il legame che l’autore rintraccia tra economia, storia e letteratura, in un contesto come quello della Francia, a cavallo fra i due secoli, in cui a contare non era tanto il denaro posseduto, quanto il credito riconosciuto.
Essere riconosciuti, appunto.
Il motivo per cui Félix Grandet, quarantenne nell’anno della Rivoluzione e diventato sindaco di Saumur grazie al berretto rosso, non se la prende troppo quando viene sostituito da Napoleone con «un uomo di pretese nobiliari, un futuro barone dell’Impero» è da doversi, probabilmente, rintracciare nel fatto che né come Rivoluzionario (di mestiere bottaio), né tanto meno come sindaco si è mai troppo impegnato nell’interesse della comunità.
In entrambi i casi l’uomo ha pensato al suo arricchimento, a stringere legami d’affari. Le strade che ha fatto costruire quando era sindaco, ci dice l’autore: «conducevano alle sue proprietà», e così è stato per il resto (le sue vigne, diventate testa del paese; e poi, la Legion d’onore…). Ma, nonostante che l’uomo si sia mosso solo per il suo interesse, grande è il credito di cui gode non solo in famiglia, ma anche in tutta Saumur.
La verità è che per molti anni la moglie, la giovane figlia, e anche la domestica Nanon, hanno scambiato la sua gestione autoritaria della casa e delle loro vite, con una naturale razionalizzazione, l’unica possibile, della vita domestica. Stesso discorso per i concittadini. Prima ancora che diventasse l’uomo ricchissimo che è a fine vita, «La sua parola, il suo vestire, i suoi gesti, il suo ammiccare eran legge per il paese, ove ciascuno, dopo averlo studiato, come un naturalista studia gli effetti dell’istinto degli animali, avrebbe potuto riconoscere la profonda e silenziosa saggezza dei suoi più piccoli atteggiamenti».
Riconoscere (reconnaître), ancora.
E poiché l’uomo non è solo intelligente, ma ha anche immaginazione e fortuna, la tripla eredità ricevuta, anche quella nel 1806, come la Legion d’Onore, a cinquantasette anni (prima dalla madre della signora Grandet, «poi dal vecchio signor La Bertellière, padre della defunta, e infine da madama Gentillet, sua ava materna») sarà sufficiente a trasformare il credito, di cui già gode, in un volano per costruire un patrimonio che, a fine romanzo, sarà di diciassette milioni di franchi. Ma un patrimonio esige impegno per essere costruito. Ed è qui che entra in scena l’immaginazione.
Papà Grandet si mette a balbettare. Lo fa a comando. È una finta che gli torna utile quando è in difficoltà. Se ha bisogno di tempo (magari solo di pochi istanti) per prendere una decisione, arranca nella costruzione della frase, si ferma due, tre volte sulla stessa sillaba. Di attribuire tutte le scelte alla moglie («che egli aveva ridotto ad un ilotismo completo, a una vera schiavitú»), il furbo, appassionato all’oro, avido, Grandet, lo faceva già da prima. Non c’è nessuno, e niente, cui l’uomo rivolga attenzione se non per interesse. O forse sì, la figlia Eugénie: ma solo fino a quando lei non regalerà il tesoro, da seimila franchi, al cugino Charles.
E poiché Balzac non è tanto interessato alla psicologia, quanto, piuttosto, alle scienze e alla storia, al passaggio delle fortune, ai beni, mobiliari e immobiliari, che viaggiano, secondo lui, proprio come i sentimenti, e si trasformano, da liquidi a solidi e viceversa («E anche noi, non si vive forse di morti? Le successioni, in fondo, cosa sono?», chiederà papà Grandet a Ninon) che cosa va a indagare?
La modalità in cui le caratteristiche paterne di dare e avere (quella partita doppia dei sentimenti) lavorano nella figlia, il tipo di donna cui daranno luogo. Che cosa, davvero, eredita Eugénie? Grossissimo patrimonio a parte, cosa diventano, in lei, energia e avidità paterne?
Balzac non cambia ad esse di segno. È un luogo comune fra i tanti dipingere, sempre, la figlia di un uomo autoritario come una vittima sottomessa. L’autore fa la scelta opposta. Ciò che ha segno positivo, come positivo viene tramandato.
Ed è così che vediamo la ragazza, con una mossa tutta tesa al guadagno, investire il tesoro che il padre le ha regalato, per il valore di seimila franchi, al fine di aumentare il suo credito nei confronti del cugino Charles, visto che ne è innamorata: glielo dona. Non è ai soldi che la ragazza mira, quanto piuttosto all’amore.
E però il desiderio, proprio come l’affetto, accumulati o no che siano, non rendono nulla in termini di interessi, e anzi, se c’è qualcuno che se ne avvantaggia, di solito è, proprio chi, come in questa storia è, come Charles, in debito: chi fugge, lasciando dietro di sé solo oggetti come ricordo.
Quando si impegna a restituire alla cugina ciò che lei gli ha prestato, e le promette che la sposerà, l’uomo si comporta proprio come un debitore che non sa se potrà o meno tener dietro ai propri impegni, ed è mosso solo da gratitudine e bisogno.
Certo, c’è la madre: quell’essere votati al sacrificio, che, in questo romanzo sulla partita doppia dei sentimenti, avrà il suo ruolo, e verrà fuori soprattutto in Eugenie adulta.
E d’altronde, lei, proprio come certi investitori che ereditano da un avo la febbre dell’oro, ma non la capacità di guadagnarne, sarà la prima a non voler riconoscere l’abnorme avidità del padre, e anzi, a restituirgli quella credibilità che lui ha perso, in paese, dopo aver chiuso la figlia a pane e acqua: «(…) il babbo è padrone in casa propria e finché starò con lui lo obbedirò (…) non intendo che altri, fuori di Dio, si permetta di giudicare la sua condotta…», dirà. Ma anche questa è una scelta.
La ragazza che, dopo anni dall’abbandono di Charles, siede tutti i giorni «…sul piccolo banco di legno, dove era stato scambiato il primo giuramento di eterno affetto fra lei e il cugino», non è, a pensarci bene, meno alienata del padre, perso nella visione allucinata del suo oro, o della madre, che ha scelto la religione. A ben vedere, l’unico segno di diversità, in famiglia, viene dalla domestica Nanon che, qualche tempo dopo che Charles è partito, dice alla ragazza: «Se avessi avuto un uomo io... l’avrei seguito all’inferno, l’avrei... sì... mi sarei ammazzata per lui», lei, che per sua fortuna non ha mai avuto una famiglia, non è mai stata amata da nessuno e potrà quindi scegliere liberamente con chi accasarsi, a fine romanzo.
Non solo Balzac riesce a mostrarci come l’amore assomigli, a volte più a un prodotto culturale, che a un sentimento innato, ma lo fa attraverso le parole e la sintassi dell’economia: tra tratte, interessi sul debito, contabilità all’italiana, partita doppia, rendite, quietanze, deposito, titoli di credito, finanziamenti, cambiali, buoni di stato, si consumano le vite dei protagonisti. Sulla Storia, i calendari, la precisione delle date, tante. Forse è non tanto una modalità per far procedere la storia, quella di Balzac, quanto una maniera per costruire una geografia quando hai bisogno di scrivere in fretta, devi poter riscrivere, e vuoi poter contare su qualcosa di certo. Pratiche, in due parole, che risentono non solo della modifica strutturale dell’editoria dell’epoca, ma anche di quella della figura dello scrittore.
Nella traduzione, del 1930, di Grazia Deledda, che qui presentiamo, i nomi dei personaggi sono in italiano. Considerando la data in cui il libro è stato pubblicato, ci è sembrato giusto proporli ora in francese. Il libro, l’unica traduzione della scrittrice sarda, fu inserito nella collana Biblioteca romantica, pubblicata da Mondadori, e diretta da G.A. Borgese.
Honoré de Balzac
Ha creato più di 2000 personaggi, ha messo mano a 137 opere in venti anni (senza considerare la produzione giovanile), aveva un ritmo di lavoro forsennato, ha collezionato amori, debiti, speculazioni e fallimenti.
Nato a Tours nel 1799 e morto a Parigi nel 1850, Honoré Balzac (solo nel 1802 la famiglia aggiunse il de al cognome) è autore leggendario, famoso in tutto il mondo.
Madre proveniente da famiglia di commercianti (trentadue anni più giovane del marito), padre responsabile degli approvvigionamenti militari per la pubblicazione amministrazione, Balzac passa gli anni dell’adolescenza in collegio, a Vendôme. Appassionato di letteratura, si iscrive a Giurisprudenza, a Parigi, ma nel 1819 chiede e ottiene dai genitori un periodo fiduciario: due anni. Vuole provare a fare lo scrittore. L’esperimento fallisce. Per guadagnarsi da vivere, dal ’21 al ’29, Balzac farà il giornalista, scriverà articoli e saggi, romanzi a peso (sotto pseudonimo), racconti. Lavorerà anche come editore e tipografo, ma oberato dai debiti, liquiderà l’attività. Il primo successo è del 1829, ed è legato a Gli Sciuani (Les Chouans) ispirato alla ribellione della Vandea. Nel ‘31 esce La pelle di zigrino, un romanzo che avrà molta fortuna; del 1832 è la prima versione de Il Colonnello Chabert (La transazione), pubblicato poi nel ‘44. Escono, nello stesso anno, anche Il Curato di Tours e Louis Lambert. Il ’33 è l’anno de Il medico di campagna, di Eugénie Grandet. L'anno dopo escono La ricerca dell’assoluto e Papà Goriot. Di questo periodo è la progettazione di quella che sarà la Commedia umana. L’autore intende riunire la sua produzione in un’unica grande opera, facendo comparire più volte gli stessi personaggi. Nel 1842 esce una prima edizione, in diciassette volumi: nella Prefazione sono espressi gli intenti dello scrittore. Raccontare una storia dei costumi dell’epoca, di tutte le classi sociali (“fare concorrenza allo stato civile”, dirà), attraverso la vita, le azioni, di personaggi dominati dalle passioni.
Incompiuto per la morte dell’autore (“Non riconosco per opere mie se non quelle che portano il mio nome”), il progetto annovera al suo interno notissimi capolavori: Illusioni perdute (1837-1843), Splendori e miserie delle cortigiane, (1838-1847), La cugina Bette (1846), Il cugino Pons (1847), fra gli altri. E di tanti capolavori La Comédie Humaine condivide, purtroppo, il destino: essere più citati che letti.
Libri utili:
E. Auerbach, Mimesis: il realismo nella letteratura occidentale, Torino, 1984
R. Barthes, S/Z: una lettura di Sarrazine di Balzac, Torino, 1981
F. Bertoni, Realismo e letteratura. Una storia possibile, Torino, 2007
M. Bonfantini, Balzac e il suo tempo, Roma, 1966
M. Bongiovanni Bertini (introduzione a) Balzac. La commedia umana, vol. I, Milano, 1994
M. Bongiovanni Bertini, L’ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac, Roma, 2019
E. R. Curtius, Balzac, Milano, 1998
P. Decina Lombardi, (introduzione a) Balzac. La Commedia umana, racconti e novelle, Milano, 1988
P. Decina Lombardi, Mosaico balzacchiano. La donna e la norma nella Commedia umana, Napoli, 1991
C.A. De Saint-Beuve, Contro Balzac, Bari, 2007
R. Fernandez, Balzac, ou l'envers de la creation romanesque, Paris, 1980
T. Gautier, La vita di Honoré de Balzac, Firenze, 1995
H. James, Tre saggi su Balzac, Genova, 1988
M. Lavagetto, La macchina dell’errore, Torino, 1996
G. Lukács, Saggi sul realismo, Torino, 1976
G. Lukács, Il romanzo storico, Torino, 1974
G. Macchia, Il mito di Parigi, Torino, 1986
F. Moretti, Il romanzo di formazione, Milano, 1986
A. Pecchioli Temperani, Il romanzo e il tempo: da Balzac a Proust, Roma, 1989
P. L. Pellini, La descrizione, Bari, 1998
M. Proust, Contro Sainte-Beuve, Torino, 1991
E. Zola, Il romanzo sperimentale, Parma, 1980
S. Zweig, (a cura di R. Paris) Balzac: il romanzo della sua vita, Roma, 2015
Grazia Deledda
Grazia Deledda nasce a Nuoro nel 1871, in una famiglia benestante, ed è la quarta di sette figli. Studia privatamente, poi da autodidatta, è appassionata di letteratura e legge, da ragazza, i «classici»: in particolar modo i grandi romanzieri della letteratura russa (Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev) e di quella francese (Balzac, Flaubert).
A pubblicare inizia prestissimo. Nel 1888 escono i primi racconti; dal 1891 collabora stabilmente con riviste e giornali (lavorerà per Nuova antologia, il Corriere della sera, L’illustrazione italiana) nel 1896 il romanzo La via del male viene recensito positivamente da Luigi Capuana.
Nel 1899 si trasferisce a Cagliari, dove conosce il futuro marito, Palmiro Madesani, impiegato dell’intendenza di finanza e originario della provincia di Mantova. Nel 1900 si sposano e vanno a vivere a Roma. Lui lascia il lavoro per diventare l’agente letterario della moglie. Per l’autrice è una sorta di liberazione: l’odio/amore per i luoghi di origine è un punto fermo della produzione deleddiana. Nel 1892 il padre è morto, e due dei suoi fratelli manifestano problemi psicologici e di inserimento (uno è alcolizzato, l’altro è stato denunciato dopo aver commesso piccoli furti).
È nella capitale che Deledda scriverà i suoi romanzi migliori (Dopo il divorzio, nel 1902, Elias Portolu, nel 1903, Cenere, nel 1904, Canne al vento nel 1913).
Nel 1927 vince (per il 1926), prima donna in Italia, il Premio Nobel per la letteratura. Ha scritto più di trecento novelle e trentacinque romanzi, oltre ai testi per i giornali, i saggi e le poesie. Da alcuni suoi volumi sono stati tratti film (Cenere, 1916, regia di Febo Mari, con Eleonora Duse; Proibito, 1954, di Mario Monicelli con Amedeo Nazzari) e opere per la televisione (Canne al vento, 1958, con Franco Interlenghi, regia di Mario Landi).
Muore a Roma nel 1936.
Libri utili:
L. Baldacci L., Introduzione alla letteratura italiana del Novecento, Fi, 1961
G. Bellonci, Prefazione, in Grazia Deledda, Le opere, Torino 1964
E. Cecchi, Grazia Deledda, in Prosatori e narratori, in Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Milano, 1967
B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari, 1943
R. Dedola, Grazia Deledda. I luoghi, gli amori, le opere, Roma, 2016
N. De Giovanni, Grazia Deledda, Alghero, 1991
A. Dolfi, Grazia Deledda, Milano, 1979
A. Dolfi, F. Rovigatti, G. E. Viola, (a cura di) Grazia Deledda. Biografia e romanzo, Roma, 1987
M. Farnetti, Chi ha paura di Grazia Deledda: traduzione, ricezione, comparazione, Roma, 2010
F. Flora, Dal romanticismo al futurismo, Mondadori, Milano, 1925
M. Fois, (prefazione) Grazia Deledda, Il paese del vento, Nuoro, 2007
M. Giacobbe, Grazia Deledda: introduzione alla Sardegna, Sassari, 1999
M. King, Grazia Deledda, a legendary life, Leichester, 2015
O. Lombardi, Invito alla lettura di Grazia Deledda, Milano, 1979.
S. Lutzoni, (a cura di) Grazia Deledda, Romanzi, (prefazione di M. Onofri), Nuoro, 2010
G. Olla , (a cura di) Scenari sardi: Grazia Deledda tra cinema e televisione, Cagliari, 2000
M. G. Piano, Onora la madre: autorità femminile nella narrativa di Grazia Deledda, To, 1998
E. Rasy, Tre passioni. Ritratti di donne nell’Italia unita, Mi, 1995
L. Russo, Grazia Deledda, in I narratori, Roma, 1923.
N. Sapegno, (a cura di), Grazia Deledda, Romanzi e novelle, in I Meridiani, Milano, 1972
N. Zoja, Grazia Deledda: saggio critico, Milano, 1939